Il Kazakistan ha recentemente annunciato l’imposizione di alcuni limiti sulle esportazioni di grano, che di fatto resteranno in vigore fino al 15 giugno limitando l’export di chicchi ad appena 1 milione di tonnellate e di farina a 300 mila. Si tratta di una scelta che fa preoccupare particolarmente i Paesi limitrofi nell’Asia centrale, per i quali le importazioni kazake rappresentavano un importante fonte approvvigionamento: secondo l’International Grains Council (ICG), nella sola stagione 2020-21 il Kazakistan ha esportato circa 8,1 milioni di tonnellate di grano, rappresentando rispettivamente un quarto dell’export totale verso l’Uzbekistan e il 96% di tutto il grano importato dal Tagikistan.
La decisione kazake segue quella della Russia di sospendere l’esportazione di grano, segale, orzo e mais verso i Paesi dell’Unione economica eurasiatica con l’eccezione della Bielorussia; una decisione poi rivista con la concessione del permesso ad Armenia, Kazakistan e Kirghizistan di importare cereali a patto di aver ricevuto l’autorizzazione dal ministero dell’Agricoltura russo. Il divieto in questione significava che il Kazakistan aveva di fatto temporaneamente perso l’accesso al grano russo, di cui è uno dei più grandi importatori; e i produttori e mulini del territorio nazionale si erano trovati costretti ad avvertire che stavano esaurendo le scorte. Una serie di eventi che ha contribuito all’aumento dei costi degli affari, già impennati in seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina.