Creare delle varietà di grano duro con una maggiore capacità di rispondere e adattarsi agli stress ambientali, così da prepararsi alle insidie del cambiamento climatico: questo l’obiettivo del progetto Impresa afferente, finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca con oltre 700mila euro e che coinvolge l’Università della Tuscia, quella di Harran (in Turchia) e alcune istituzioni scientifiche di Algeria (Università di Ferhat Abbas Sètif e Centre de Recherche Scientifique et Technique sur les Règions Arides) e Tunisia (Center of Biotechnology of Sfax).
L’idea è quella di impiegare strategie di ingegneria cromosomica non-Ogm in grado di trasferire nel frumento duro gli elementi corredo genetico delle specie selvatiche che, di fatto, lo rendono tolleranti agli stress ambientali. I primi test del gruppo di ricerca si sono concentrati sulla valutazione in serra delle capacità di resilienza alla siccità, alle alte temperature e alla concentrazione di sale nel suolo; e hanno portati a risultati molto positivi: “la presenza di materiale genetico ‘alieno’, proveniente in particolare dalle specie selvatiche del genere Thinopyrum, nel genoma del frumento duro conferisce alla pianta un vantaggio, con differenze statisticamente significative rispetto ai controlli, in termini di tolleranza alla salinità e anche agli altri tipi di stress ambientali considerati dal progetto”, ha spiegato Debora Giorgi, ricercatrice Enea del Laboratorio Biotecnologie e responsabile del progetto per l’Agenzia.
Il prossimo passo sarà l’individuazione di altri fattori chiave che identifichino le risposte del grano duro e delle graminacee selvatiche ad altre condizioni di stress. “Stiamo utilizzando una tecnica che abbiamo messo a punto nei nostri laboratori e applicato già su specie vegetali complesse come il grano tenero, l’avena e la segale” sottolinea ancora Giorgi. “L’uso di questo approccio ci ha permesso di separare ed isolare i singoli cromosomi contenenti la cromatina ‘aliena’ da tutto il resto del genoma del frumento, così da identificare in modo più mirato la presenza di quei geni e di quelle sequenze di Dna che ci consentiranno di sviluppare varietà resilienti, ecosostenibili ed efficienti nell’uso delle risorse naturali disponibili”.