L’approdo di Gordon Ramsay in quel di Sydney è stato accolto da entusiasmo e polemiche – anche se è difficile stabilire qual è il coro in maggioranza. Ma mettiamo un po’ d’ordine, prima di tuffarci in polemiche e simili: il celeberrimo ristoratore britannico ha recentemente annunciato che avrebbe aperto un ristorante pop-up presso il famoso Aria di Sydney, dall’8 al 10 di maggio, offrendo ai commensali un menu di sette portate “caratterizzato da piatti esclusivi del Restaurant Gordon Ramsay dove i prodotti britannici saranno sostituiti con gli ingredienti di alcuni dei principali produttori australiani”. Sembra interessante, no? Gastrofighetti, appassionati di gastronomia e buongustai locali si sono tuttavia trovati a sbattere contro il prezzo di oltre 500 dollari a testa.
Gordon Ramsay e il pop-up di Sydney: le polemiche per il prezzo
È bene notare, prima di proseguire, che il prezzo del solo cibo si attesta sui soli 329 dollari a persona, che tuttavia lieviterebbero fino a 535 qualora si decidesse di ordinare anche l'”abbinamento di vini premium”, prezzato alla modica cifra di 196 dollari. Ci pare corretto, poi, dedicare ancora qualche parola al menu, che sarà “caratterizzato da una combinazione di piatti che risalgono dal 1998 fino a oggi firmati da chef Matt Abé e una selezione di portate esclusive del Restaurant Gordon Ramsay”.
Insomma, l’offerta non è male – tant’è che, come accennato in apertura di articolo, la notizia è stata in primis accolta con un’ondata di caldo entusiasmo. “Che novità INCREDIBILE” ha scritto una ragazza sotto l’annuncio, avvenuto anche per via di Instagram. Molti altri utenti, nel frattempo, si chiedono se sarà l’occasione buona per riuscire a vedere Ramsay di persona.
C’è anche la proverbiale altra faccia della medaglia, però. Come accennato il prezzo – 535 dollari a testa vini inclusi – scivola in territorio decisamente proibitivo per molti: “Non vedevo l’ora finché non ho visto quanto costa” ha scritto un utente deluso. “Per me sarebbe la paga di una intera settimana di lavoro”. “Più di 500 dollari?” chiede un secondo. “Per quella cifra potrei offrire cena a quattro persone in un bel posticino”.
Insomma, in altre parole è il classico – e scomodo – biplanarismo in cui si trova a giacere il fine dining: da una parte la correttezza nel pagare cifre che sovente costringono ad attingere dai risparmi per una delle più alte espressioni della cucina (allo stesso modo, per intenderci, in cui si pagherebbe un quadro di un maestro pittore), dall’altra il corto circuito etico che si innesca quando consideriamo il cibo come bene primario.