Per quale motivo gli Stati Uniti hanno un surplus di formaggio che ammonta a oltre 600 milioni di chili? Ottima domanda. È bene notare, prima di gettarci nel nocciolo della questione, che i nostri amici a stelle e strisce non sono certo gli unici a stare seduti sul cibo in eccesso, e che scorte alimentari del genere sono un fenomeno mondiale: stando a quanto riportato da Atlas Obscura, ad esempio, la Cina ha enormi quantità di carne di maiale congelata, il Canada ha gigantesche riserve di sciroppo d’acero e perfino la nostra casa Europa ha “montagne di burro” e “laghi di vino”. Ma che succede? Beh, nel caso degli Stati Uniti la questione è apparentemente semplice: l’America produce più latte di quanto ne consuma.
Ok, ma perché sono calati ‘sti consumi?
Altra domanda legittima. Come di consueto quando si analizzano le tendenze di mercato le ragioni sono molteplici: il The Guardian imputa il calo dei consumo domestico di latticini alla recente popolarità delle diete vegane, che naturalmente li escludono; ma occorre anche considerare il fatto che gli americani hanno sviluppato un particolare gusto per il formaggio importato.
La storia delle grandi scorte di formaggio a stelle e strisce, tuttavia, è ben più complicata, e ha radici nel tradizionale patriottismo d’Oltreoceano. Un salto temporale all’indietro ci porta all’era della depressione, quando gli enti governativi stabilirono che alcuni prodotti alimentari crudi e trasformati fossero parte integrante dell’economia e della salute della nazione. All’inizio del XX secolo, i nutrizionisti statunitensi presero a pubblicizzare i benefici per la salute derivanti dal consumo di latticini, arrivando addirittura a sostenere che fossero in grado di mantenere le forze militari in condizioni di combattimento.
Per questo motivo, molti americani iniziarono a vedere il latte come un alimento vagamente patriottico, e i latticini divennero dunque una scelta ovvia per il sopracitato programma governativo. Proseguiamo fino al 1949, anno in cui viene varato l’Agricoltural Act – un’iniziativa volta a garantire la sicurezza alimentare in tempi di guerra -, che ha di fatto stabilito un modello di sostegno agli agricoltori garantendo che i prodotti lattiero-caseari in eccesso sarebbero stati immagazzinati.
In altre parole, il governo acquistava direttamente il latte dagli agricoltori e produceva prodotti trasformati con una conservazione più lunga – una trovata che naturalmente ha garantito ai produttori di latte statunitensi un reddito relativamente affidabile e costante.
Le conseguenze dell’inflazione
Le scorte di formaggio presero così a crescere fino agli anni ’70, quando s’impennarono come mai prima. Per combattere il tasso di inflazione in crescita, infatti, il presidente Carter intervenne a nome dei produttori di latte statunitensi aumentando il prezzo del latte e permettendo loro di aumentare ancora una volta la produzione. Nel 1981, il presidente Reagan si è trovato con più di 25 milioni di kg di formaggio da parte.
Per risolvere il problema, ne ha scaricato gran parte nel programma di assistenza alimentare di emergenza temporanea che ha fornito cibo per i pranzi scolastici e programmi di assistenza sociale – una decisione che gli ha permesso di fregiarsi del titolo di benefattore e al contempo di risparmiare i soldi necessari alla conservazione del formaggio.
Gli sforzi di Reagan, tuttavia, si rivelarono rapidamente insufficienti; e nacque così il mito del “formaggio del governo” . un prodotto giallastro e lucente come un foglio in plastica ormai protagonista dei programmi di assistenza alimentare a stelle e strisce. “La gente parla dei programmi di assistenza alimentare come se fossero stati creati per aiutare i poveri” ha commentato a tal proposito Andrew Novaković, economista agrario della Cornell University. “Il che è vagamente vero, ma quasi tutti i principali programmi di assistenza alimentare erano determinati da un eccesso di qualcosa in agricoltura”.
Nei decenni successivi, i gusti e gli atteggiamenti degli americani nei confronti dei prodotti lattiero-caseari si sono allontanati dal tradizionale formaggio fuso. I cittadini più attenti alla salute hanno cominciato a eliminare o ridurre i consumi di latticini, mentre altri – come già accennato – hanno sviluppato un gusto per le opzioni d’importazione. Il governo, nel frattempo, continua a cercare soluzioni: negli anni ’90 e 2000, ad esempio, l’USDA ha fornito incentivi finanziari alle aziende di fast food per inserire più formaggio nei loro menu; ma la montagna di formaggio continuava a resistere, giallastra e risoluta.
Ironia della sorte, quella che in origine fu una strategia per aiutare i produttori di latte americani, ora li sta danneggiando pesantemente: “Abbiamo assistito alla chiusura di un numero record di aziende lattiero-casearie” ha spiegato a tal proposito Lucas Fuess, della società di consulenza HighGround Dairy. “i prezzi del latte sono così bassi che le aziende lattiero-casearie non sono più redditizie”.