Partiamo dal presupposto che The Bear non è una commedia, e questo dovrebbe essere più o meno chiaro a tutti coloro che hanno visto almeno una mezza manciata di puntate. Il motivo è semplice: la presenza di umorismo, per quanto apprezzabile anche per la sua natura sagace, non è sufficiente a parlare di opera comica. Eppure le vicende di chef Carmy e compagnia hanno raccolto la bellezza di ventitré candidature comedy agli Emmy.
Lo sappiamo noi, lo sanno gli attori, lo sa il pubblico, lo sanno persino Eugene e Dan Levy, che durante la cerimonia di domenica sera hanno puntato il dito contro l’elefante nella stanza. Eppure The Bear vince (quasi) tutto: undici trofei complessivi, uno in più del precedente record (a sua volta stabilito da Jeremy Allen White & Friends), ma comunque senza riuscire a mettere le mani sulla statuetta di miglior serie comedy, che è invece andata a Hacks. Tanto non è una commedia, no?
La lista degli Emmy vinti e le polemiche
Tra i premi vinti dai nostri protagonisti c’è il Miglior attore protagonista (per il buon vecchio Jeremy), Miglior attore non protagonista (Ebon Moss-Bachrach, nel ruolo di Richard “Richie” Jerimovich), Miglior attrice non protagonista (Liza Colón-Zayas, che interpreta Tina) e Miglior regia (Christopher Storer per l’episodio “Fishes” o Ramy Youssef per “Honeydew”); a cui vanno sommati i sette Creative Arts Emmys vinti il weekend scorso. Undici in tutto, per l’appunto: record di categoria. E che categoria.
Qui, come anticipato, brucia la pietra dello scandalo. The Bear – scrivono i colleghi di Rolling Stone – è “stato inserito nella categoria comedy solo perché i suoi episodi sono di circa mezz’ora ciascuno”, ma è anche e soprattutto sintomo della crisi d’identità degli stessi Emmy. Che vogliamo dire?
Semplice, e lo ripetiamo: The Bear non è comedy, e i sopracitati colleghi hanno ragione. The Bear parla di amore per la ristorazione, ed è chiaro, ma c’è anche un commento più sottile su quanto accade veramente in cucina: i trionfi, gli abusi, la creatività, il classismo e il culto dell’eroe. Si tratta di un livello di sincerità talmente nitida da essere quasi ruvida, e che piace, com’è evidente dal record di cui sopra. Ma che comunque non pare essere abbastanza.
L’araldo aveva annunciato la terza stagione con un criptico trailer a metà maggio. Speculazioni, sinapsi che lavorano: gli investigatori internettiani avevano subito scoperto che avrebbero assistito al funerale di qualcuno. Poi le critiche: poco clementi e forse addirittura esagerate. Ora il bagaglio di vittorie agli Emmy, un nuovo record, e il portarlo a casa con quell’asterisco che rimanda a fondo pagina e ricorda che, a onore del vero, si stava gareggiando in una categoria che c’entrava ben poco. E che, a guardare bene, si è comunque riusciti a perdere.