Qualquadra non cosa. Da una parte un fiume sempre in piena di belle parole piene di vento, dall’altra dati e rapporti e numeri che ci ricordano una realtà di ghisa. A poco più di cinque anni dalla scadenza degli obiettivi 2030, l’Italia si trova in netto ritardo nella gestione sostenibile dell’acqua, e le sirene più assordanti arrivano dall’agricoltura.
La contraddizione con le parole del ministro Lollobrigida, che più volte ha definito agricoltori e allevatori e pescatori i “primi ambientalisti”, è evidente. Numeri alla mano, il settore primario consuma 17 miliardi di metri cubi d’acqua in media all’anno, equivalenti al 57% del totale complessivo dei prelievi. Una percentuale che svetta addirittura sulla somma dei consumi civili (31%) e industriali (12%). E non è tutto.
Natura e burocrazia: cosa pesa di più?
Altro capitolo dolente riguarda il riutilizzo e il recupero del cosiddetto oro blu, così come la sua effettiva qualità: appena il 4,6% dei terreni irrigati, infatti, utilizza acque reflue depurate; e tra le preoccupazioni più pruriginose segnalate da Legambiente in occasione del VI Forum Acqua di Roma c’è anche e soprattutto la contaminazione da fertilizzanti, pesticidi e microplastiche. Su di queste pagine abbiamo trattato il caso della Lombardia, dove una parte considerevole dell’acqua potabile risulta contaminata da PFAS, sostanze chimiche cancerogene.
Di nuovo: spazio ai numeri. Secondo gli ultimi studi disponibili di ISPRA nel 55% dei punti di monitoraggio in acque superficiali e nel 23,3% di quelle sotterranee sono state trovate 183 diverse sostanze inquinanti, con la presenza dell’ormai famigerato glifosato che spicca in particolare. Già stanchi? Beh, mancano ancora due capitoli: il clima e la burocrazia.
Nel periodo compreso tra il 2021 e il settembre 2024, secondo i nuovi dati dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente, si sono registrati 96 eventi meteo estremi legati all’acqua. Al banco degli imputati figurano grandinate (58%), siccità (27% – ma per fortuna ha colpito solo il sud, negli ultimi tempi), allagamenti (10%) ed esondazioni fluviali (4%). La natura, in altre parole, è una variabile difficile (com’è ovvio) da governare ma di cui è necessario tenere conto. E la burocrazia?
Ingranaggi di sabbia. Legambiente ha sottolineato l’importanza nel colmare quanto prima i ritardi normativi per quanto concerne il recupero e riutilizzo delle acque reflue depurate e piovane. Un esempio? Il decreto Presidente della Repubblica che regolamenterà il riutilizzo delle acque reflue trattate per i molteplici usi irrigui, industriali, civili e ambientali.
L’obiettivo finale sarebbe quello di applicare alla fame idrica del comparto agricolo gli stessi principi dell’economia circolare: chiaro, però, che finché continueremo a convincerci (e convincere) che siamo i più forti e i più bravi e i più ambientalisti non potremo che tardare il passo. Perché accelerarlo, d’altronde, se siamo già i primi della classe?