Un ultimatum formulato con orgoglio per sfidare le grandi aziende occidentali del cacao: ci stiamo riferendo a quanto sta accadendo in Ghana e Costa d’Avorio, paesi tra i maggiori produttori ed esportatori della preziosa materia prima, che recentemente hanno deciso di unirsi in un coro comune per opporsi allo sfruttamento dei propri lavoratori. L’obiettivo delle due nazioni, in questo senso, è sorprendentemente semplice: la richiesta alle multinazionali è quella di impegnarsi a versare un premio supplementare ai sopracitati agricoltori, che attualmente vengono pagati con una media inferiore al dollaro al giorno. Come ogni ultimatum che si rispetti, naturalmente, anche questo è tenuto in piedi dalla più classica delle biplanarità: se non fai A allora ecco che succede B, per intenderci – dove A è la richiesta di un compenso più adeguato e B è il bandire le aziende in questione.
Premi, evasioni e ipocrisia
Come accennato, Ghana e Costa d’Avorio possono vantare una mole produttiva di cacao tra le più importanti al mondo: si stima che il 60% del cacao mondiale provenga di fatto da queste due nazioni, e questo nonostante i recenti problemi con la siccità che ha in parte strozzato i raccolti. Ciononostante la stragrande maggioranza degli agricoltori locali lavora (o meglio – viene sfruttata) per meno di un dollaro al giorno; motivo per cui i due Stati hanno ritenuto opportuno unirsi introducendo dei premi a carico delle aziende trasformatrici sui propri semi di cacao.
Premi che, nel corso del tempo e causa dei tentativi di evasione delle imprese stesse, hanno finito per assottigliarsi fino a ridursi a una grottesca parodia di loro stessi. Per intenderci il primo premio, noto come “differenziale di origine”, è stato portato al di sotto dello zero degli ultimi anni a causa delle pressione esercitate dai commercianti; facendo inabissare con sé anche il secondo premio a esso legato, ossia il “differenziale di reddito vivo” pari a 400 dollari per tonnellata.
In altre parole e senza mezzi termini – il metodo escogitato per tutelare i lavoratori si era trasformato in una presa per i fondelli. Ghana e Costa d’Avorio hanno pertanto deciso, a luglio di quest’anno, di terminare i rapporti commerciali con le aziende che erano solite azzerare o portare in negativo il primo premio – una strategia che, ancora una volta, è stata piegata dallo strapotere economico delle imprese. Arriviamo dunque ai giorni nostri e all’ultimatum a cui vi abbiamo introdotto in apertura d’articolo: la scadenza era prevista per domenica 20 novembre, data in seguito alla quale le multinazionali ancora intenzionate a evadere i suddetti premi sarebbero state formalmente bandite dagli affari.
La minaccia africana è quella di interrompere i programmi di Responsabilità sociale d’impresa (Rsi) delle singole aziende, vietando allo stesso tempo agli acquirenti di visitare i campi per effettuare le previsioni sul raccolto. La risposta delle cosiddette big del cacao, naturalmente, è stata piena di belle parole cariche di vento: i portavoce hanno dichiarato di non essere abituati a strategie di questo tipo, e di preferire ai “vincoli stringenti” le “buone azioni” su base volontaria.
Una risposta che, naturalmente, dona beffarda continuità alla tradizione di presa per i fondelli. L’idea delle imprese è fondamentalmente quella di continuare a impegnarsi in generici progetti pilota che mirano a obiettivi grandiosi come il “migliorare le condizioni dei coltivatori” o “rendere più sostenibili le catene di approvvigionamento del cacao”, notoriamente caratterizzate dalla deforestazione – specchietti per allodole, in altre parole, che compiacciono i più ingenui e che, nel frattempo, permettono di continuare a ribadire una prepotenza assoluta e spietata.