Siete soliti guardare con fastidiosa rassegnazione al momento del pasto? La sola idea di vostro figlio che guarda il piatto con malcelato disgusto mormorando “non mi piace, non c’è altro?” innesca in voi l’incontenibile voglia di rispondere “la prossima volta cucina tu, allora”? Tranquilli, cari genitori – in realtà dovreste essere grati di avere un figlio che, quando si siede a tavola, fa lo schizzinoso. No, sia ben chiaro, il nostro non è certo un subdolo tentativo di farvi salire i sensi di colpa: ambasciator non porta pena, si suol dire, e noi siamo qui solamente per riportarvi quanto sostenuto dalla scienza.
Figlio schizzinoso o buona forchetta? La scienza non ha dubbi
Chiaro, il secondo – la buona forchetta, per l’appunto – potrà anche essere la gioia di tutte le nonne d’Italia, sempre preoccupate che il nipotino possa deperire e smettere di crescere; ma come accennato la scienza è di un’altra idea. Veniamo a noi, dunque: i ricercatori dell’Aston University, dell’Università di Loughborough, del Kings College London e dell’University College London hanno intervistato 995 genitori e tutori di bambini dai 3 ai 5 anni in Inghilterra e Galles sulle abitudini alimentari dei loro figli.
L’intera operazione di ricerca è stata impostata secondo la necessità di prevedere quali bambini potrebbero essere maggiormente a rischio di sviluppare abitudini alimentari malsane e di diventare sovrappeso: gli scienziati hanno in primis rilevato otto categorie per definire la “reattività alimentare” – consumo di cibo eccessivo o insufficiente a causa di uno scompenso emotivo, desiderio di bere, reattività nel sentirsi sazi, lentezza nel mangiare e, infine, l’essere schizzinoso a tavola – individuando, infine, quattro “etichette” di consumo.
Dando un’occhiata ai risultati (pubblicati sulla rivista Appetite), appena una piccola minoranza (il 16%) dei bambini è stata classificata come “schizzinosa” a tavola – una nicchia piccola e frustrante che si è distinta per “livelli significativamente elevati di pignoleria alimentare, reattività alla sazietà, lentezza nel mangiare e sottoalimentazione emotiva concomitanti con livelli significativamente bassi di piacere del cibo”.
Dall’altra parte dello spettro troviamo le cosiddette “buone forchette” (22% sul totale), caratterizzata da grande piacere nell’atto di mangiare, dalla pulizia rapida del piatto, da un più elevato eccesso di consumo in condizioni emotive instabili e dalla mancata risposta ai segnali interni di “pienezza” – comportamenti che come accennato fanno la felicità delle nonne, ma che potrebbero portare a un aumento di peso fuori controllo. Siamo certi che alcuni di voi abbiano già intuito dove vogliamo andare a parare: quanto stiamo sottovalutando, collettivamente, l’alimentazione dei bambini?
La ricerca rappresenta di fatto un utile tassello nella lotta all’obesità infantile, pandemia silenziosa e pericolosissima che soprattutto in Italia viene grossolanamente ignorata. “I genitori possono utilizzare questa ricerca per aiutarli a capire che tipo di modello alimentare presenta il loro bambino” ha commentato la dott.ssa Abigail Pickard, una delle autrici dello studio. “Se un bambino mostra un comportamento alimentare schizzinoso, sarebbe più vantaggioso per il bambino avere una selezione equilibrata e varia di cibi in mostra per incoraggiarlo a provare cibi senza fargli pressione”.