L’opera buona, il fioretto da fare a Natale secondo un lungo e bellissimo articolo del Washington Post di ieri, è la rinuncia a mangiare gamberi. Non tutti ovviamente.
Come aveva rivelato nel 2013 un reportage del Guardian, frutto di sei mesi di assidue ricerche, la produzione di gamberi e gamberetti proveniente dalla Thailandia e destinata alle grandi catene mondiali è corresponsabile del lavoro in condizioni disumane di almeno 250.000 persone.
Uomini, donne e bambini letteralmente venduti alle fabbriche per sbucciare i piccoli crostacei che, costando poco, finiscono nei nostri banchi frigo e sulle tavole delle feste.
Negli ultimi anni la passione dei consumatori per i gamberi è in costante aumento.
Gli italiani sono i terzi maggiori consumatori in Europa di gamberi provenienti da aree tropicali dopo spagnoli e francesi. Un decimo dei gamberi surgelati importati dall’Ue ha come destinazione il nostro Paese: si tratta di circa 64.000 tonnellate
Dal 2013, nonostante le promesse di cambiamento, gran parte dei lavoratori continuano a essere minori: il 19% ha meno di 15 anni, mentre un altro 22% è tra i 15 e i 17 anni. Sono migranti in arrivo per lo più dalla Birmania che lavorano in capannoni sporchi e malsani, esposti a sostanze chimiche aggressive e senza cure mediche in caso di necessità.
Ufficialmente la Thailandia condanna schiavitù e sfruttamento, ma tutelare i lavoratori costerebbe troppo.
Molto più conveniente (per esportatori e importatori) continuare sulla stessa strada, approfittando di una legge americana del secolo scorso, che legalizza l’importazione di beni malgrado la produzione non rispetti le leggi nazionali sul lavoro.
La scelta ricade quindi su di noi consumatori finali. tutte le volte che acquistiamo e mangiamo gamberi di origine tropicale, tanto più se sono sgusciati, accettiamo tutto questo.
[Crediti | Link: Washington Post, Guardian, Cornell. Foto: WP, Dailymail.com]