Secondo Carlo Petrini la produzione di frutta secca non è poi così sostenibile come si pensa: anzi, per determinati tipi di frutta secca, è alquanto insostenibile. Il fatto è che, nel corso degli ultimi 10 anni, il consumo di frutta secca in Italia è più che raddoppiato, complici anche le varie tendenze vegetariane e salutiste.
Tuttavia non sempre la produzione di noci, nocciole, mandorle, pistacchi, arachidi, pinoli e anacardi si rileva essere molto sostenibile. Petrini fa un esempio, quello della nocciola.
Nel corso degli ultimi anni molti ettari di terreno in Piemonte, Toscana, Lazio e Umbria sono stati convertiti (con annesso disboscamaneto) per creare monocolture di noccioleti, anche là in quelle zone dove le nocciole non erano mai state coltivate. La grande richiesta da parte delle multinazionali, in questo caso, ha ridotto notevolmente la biodiversità produttiva, riducendo la fertilità del suolo e l’economia locale.
Secondo esempio: gli anacardi. Gli anacardi hanno un guscio molto resinoso e caustico, cosa che rende difficile e pericolosa la sua raccolta. Questa viene fatta dalla fascia più povera della popolazione di India, Vietnam e Costa d’Avorio: le condizioni di lavoro dei raccoglitori di anacardi sono assai pericolose, dannose per la salute e con salari veramente bassi.
Petrini ricorda che va bene ridurre il consumo degli alimenti di origine animale soprattutto derivanti da allevamenti intensivi: in questo modo si aiuta l’ambiente, la salute e la biodiversità.
Tuttavia ridurre tale consumo ripiegando su prodotti vegetali coltivati con tecniche industriali cambia ben poco la situazione.
Pensiamo al “latte di mandorla”, fra i “latti” vegetali più in voga al momento: in California, dove si concentra l’80% della produzione di mandorle, si assiste a una grave moria di api legata all’uso dei pesticidi utilizzati per produrre le mandorle.
Va bene dunque, per la nostra salute, inserire nella dieta della frutta secca, ma scegliendo sempre quella prodotta non da colture intensive.