Da un anno all’altro, le esportazioni di formaggi e prodotti caseari in genere dall’Italia verso l’India sono crollate di un clamoroso 60% in volume, e di un corrispondente 62% in valore. Addirittura se si guarda uno dei nostri prodotti di punta, il formaggio stagionato, Parmigiano reggiano e Grana padano perdono il 90%. Lo ha reso noto Assolatte, che ha anche spiegato i motivi di una tala improvvisa debacle: non è che gli indiani hanno smesso di amare i nostri formaggi, c’è un motivo legale, che ha cause politico-religiose. Nel febbraio 2020 infatti l’India ha unilateralmente deciso di mettere uno stop alle importazioni di formaggio realizzate con caglio animale. Nella maggior parte dei casi infatti, il latte viene cagliato con un estratto dell’apparato digerente dei vitelli: è un metodo tradizionale, forse il primo scoperto dall’uomo, che viene con opportuni adattamenti usato ancora oggi.
Dal punto di vista strettamente logico il formaggio realizzato in questo modo sarebbe inadatto non solo ai vegani ma anche ai semplici vegetariani, e infatti molti caseifici stanno sviluppando l’uso di cagli di natura vegetale. In India la maggioranza della popolazione è di religione induista, e una grossa fetta di praticanti di questa religione è vegetariana (secondo una statistica, si tratta del 30% circa di tutta la popolazione indiana: una minoranza, ma composta da centinaia di milioni di persone, dato che l’India conta quasi un miliardo e mezzo di abitanti). Il governo indiano di Narendra Modi, in carica da qualche anno, ha sposato per certi versi le istanze dell’elettorato più tradizionalista, fomentando anche le divisioni e gli estremismi religiosi. La decisione sul formaggio si inquadra in questo contesto: fino all’anno scorso l’obbligo era semplicemente quello di indicare in etichetta la presenza di caglio animale, in modo tale che i consumatori potessero fare la loro scelta.
“A febbraio dell’anno scorso l’India ha deciso di precludere a priori l’entrata dei formaggi realizzati con caglio animale”, ha detto il presidente di Assolatte Paolo Zanetti al Sole-24Ore. “Questo delle certificazioni veterinarie è un problema che risale a febbraio 2020, e se non cominciamo a lavorare già adesso a una soluzione, quando finalmente la pandemia sarà passata anche in India rischiamo di non cogliere la ripresa”. Per questo Assolatte ha chiesto l’intervento dell’ambasciata italiana di Nuova Delhi, dei nostri ministri competenti e della Commissione europea.
[Fonte: Efanews]