“Abbiamo fatto chiudere un allevamento”. A parlare è Giulia Innocenzi, produttrice e regista (insieme a Pablo D’Ambrosi) di Food For Profit, nonché giornalista nota per il suo instancabile lavoro di indagine e denuncia delle violenze, degli abusi e delle irregolarità negli allevamenti intensivi.
L’annuncio, com’è ormai consuetudine, è affidato alla vetrina dei social. L’allevamento in questione è uno di quelli mostrati dalle immagini di Food for Profit, dove gli ingranaggi della violenza si muovevano instancabilmente e con grande celerità.
“Si trattava di un allevamento di tacchini a Magliano Sabina, in provincia di Rieti” ci ricorda Innocenzi, “ed era gestito per conto di una delle maggiori produttrici di carne in Italia”. Il copione, di fatto, è quello già noto a chi tiene la testa fuori dalla terra: metodi cruenti e irregolari mossi dalle pulsioni di un mercato che premia la fretta e scavalca ogni dignità.
Le motivazioni dietro la chiusura
I lavoratori dell’allevamento di cui sopra, spesso non in regola, “venivano pagati per numero di camion riempiti di tacchini”. Il dado è tratto: lavoro frenetico per riempirsi un poco di più le tasche, e poco importa se si finisce per pestare delle vite. Gli animali “venivano sbattuti e lanciati all’interno delle gabbie”, e gli stessi lavoratori, per forza di cose, finivano stritolati dal cappio dello stress.
Secondo il titolare della struttura, ripreso di nascosto dalle telecamere di Food for Profit, il gestore di un allevamento del genere poteva arrivare a guadagnare anche fino a 100 mila euro l’anno. Ripreso di nascosto, sì, ma badate bene: il tentativo di approcciarlo a “volto” scoperto c’è stato.
“Quando abbiamo tentato di parlare con il titolare” ricorda ancora Innocenzi ” siamo stati minacciati e inseguiti nella notte”. Ora l’epilogo: “Grazie all’aiuto di LAV e delle indagini siamo riusciti a far chiudere questo allevamento. Si tratta di una grandissima vittoria”. L’entusiasmo, però, deve necessariamente essere accompagnato dal realismo.
“Non dimentichiamo che su tutto il territorio italiano sono presenti allevamenti come questo” conclude la giornalista, “finanziati con i nostri soldi”. Ci chiediamo, a questo punto, che ne penserà il ministro Lollobrigida; che dopo avere confessato di avere appreso dell’esistenza di Food for Profit – un documentario trasmesso anche al Parlamento Europeo… – solamente grazie alla messa in onda di Report, l’aveva definito un tentativo di criminalizzare gli allevatori.