Foggia: 7 imprenditori agricoli arrestati per sfruttamento dei braccianti

A Foggia sette imprenditori agricoli sono stati arrestati con l'accusa di sfruttamento del lavoro nei confronti di centinaia di braccianti.

Foggia: 7 imprenditori agricoli arrestati per sfruttamento dei braccianti

Dopo le vicende di accuse di caporalato che hanno interessato alcuni supermercati del Torinese, ecco che ci spostiamo a Foggia dove sette imprenditori agricoli sono stati arrestati per sfruttamento dei braccianti.

Tre persone sono ora in carcere, mentre quattro si trovano agli arresti domiciliari. Per loro accuse identiche: intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Cinque di questi imprenditori agricoli sono della provincia di Foggia, uno è di Termoli (provincia di Campobasso), mentre l’ultimo è di nazionalità senegalese, ma residente a Foggia. Proprio quest’ultimo per le forze dell’ordine era considerato “il caporale” che fungeva da intermediario per il rcelutamento dei braccianti.

Si parla di circa 150 braccianti stranieri che venivano sfruttati da questi imprenditori nelle zone di Borgo Mezzanone e e di Rignano Garganico. Erano costretti a lavorare per ore e ore sotto il sole per raccogliere pomodori e ortaggi, il tutto con turni lunghissimi, senza pause e potendo bere solamente acqua del pozzo non potabile.

Le aziende agricole coinvolte in questa vicenda sono ora tutte in amministrazione giudiziaria. Tutto era cominciato a marzo 2020 dopo che due braccianti avevano denunciato le loro condizioni di lavoro. Così i Carabinieri della compagnia di San Severo e quelli del nucleo tutela del lavoro di Napoli avevano iniziato le indagini.

Proprio da queste era emerso che una cooperativa di Orta Nova si comportava come se fosse un’agenzia interinale. In pratica assumevano i lavoratori bypassando i controlli, senza versare i contributi e senza rispettare i contratti o la normativa sulla sicurezza (non fornendo neanche i necessari dispositivi di protezione individuale), permettendo così lo sfruttamento illecito di manodopera. Il maggiore Ivano Bigica parla di una “società schermo” (da qui era nato il nome dell’operazione, “Schermo”).

I braccianti venivano poi pagati o 5 euro all’ora o 4,50 euro a cassone riempito di ortaggi, con decurtazioni di 50 centesimi per ogni inadempienza. Ed erano considerate inadempienze la presenza di un pomodoro sporco di terra o una cassetta caricata male sul camion. Inoltre i braccianti erano videoregistrati nei campi, cosa che, insieme ad agente, documenti e computer, ha permesso alle forze dell’ordine di testimoniare tutte le attività illecite.

Milko Velticchio, tenente colonnello del nucleo tutela lavoro di Napoli, ha sottolineato che sono tre le questioni importanti emerse dalle indagini:

  • gli arrestati conoscevano bene la normativa, tanto da riuscire ad aggirarla
  • riuscivano a riprendere le attiità dopo qualsiasi ispezione o presenza di forze dell’ordine in zona
  • gli arrestati abbandonavano al loro destino i lavoratori puniti per non aver pulito un pomodoro raccolto