Da domani a sabato si tiene a Torino la terza edizione del Festival del giornalismo alimentare.
La manifestazione pensata da Massimiliano Borgia dichiara la propria serietà fin da una caratteristica: è l’unico evento dedicato al food in cui non si mangia fuori pasto (assieme a DOOF, direi).
Giornalisti, comunicatori, uffici stampa, blogger, formatori si confronteranno su come fare informazione attorno a un tema di discreto successo, quello del cibo. Dibattiti, tavole rotonde, conferenze: roba seria, niente stuzzichini.
Da quando il cibo è piuttosto raccontato sui media –sempre infinitamente meno della politica, della cronaca nera, del gossip, della musica, del calcio…– si sente la necessità di una riflessione sul come farlo, tanto che Angela Frenda sul Corriere della sera dedica alla discussione sul “Food writing” addirittura uno spazio settimanale.
Dunque anche io voglio dare qui un minuscolo contributo.
[E così vuoi fare il critico gastronomico]
Possiamo parlare quanto vogliamo di qualità della cronaca e della critica gastronomica ma servirà a poco se non si risolve il nodo della questione: gli editori non pagano questo tipo di lavoro. In 99 casi su 100 la stessa parola “lavoro” è inappropriata, visto che non ha un corrispettivo in denaro. Chiamiamolo hobby, magari, volontariato.
Ma voi vi fidereste di un “professionista” che lavora gratis? Vi fareste operare da un chirurgo amatoriale? Vi fareste costruire casa da un ingegnere per passione? Lascereste pilotare il 747 su cui sedete a un aeromodellista?
In questo paese, fatta salva una ventina di persone, tutte le altre centinaia di recensori e food-journalist (o come diavolo volete chiamarli) lo fanno se va bene per passione se va male per interesse.
Chi recensisce ristoranti per le guide spende in conti il doppio di quello che guadagna, chi collabora a testate cartacee o digitali il più delle volte prende all’ora meno di un rider dei pasti a domicilio.
Ognuno è responsabile delle proprie scelte individuali e su questo non ci sono alibi.
[Edoardo Raspelli ha detto che la critica gastronomica è tutta una marchetta]
Ma dal punto di vista del settore, se la prossima volta che leggete un articolo o una recensione e vi pare una marchetta, non date tutta la colpa al giornalista che s’è fatto offrire il pasto.
Riservate un po’ di fiele per l’editore che non gliel’ha rimborsato.