Conosco almeno tre persone che hanno un etilometro tascabile.
Giuste e astute: escono a cena, se guidano loro bevono poco e controllano di essere nei parametri, al limite aspettano che il tasso scenda (il tempo è l’unica variabile che lo fa davvero diminuire) e poi salgono in macchina.
Ottengono così due risultati: guidano sobri senza pericolo per sé e per gli altri; non rischiano di farsi ritirare la patente.
L’etilometro è uno strumento interessante. Anche perché oggettivizza una roba che quando eravamo ragazzi noi veniva valutata con metodi altamente tecnologici, tipo la prova se riuscivi a toccarti la punta del naso con gli indici o a stare su una gamba sola contando fino a dieci.
Anche questa è scienza, bellezza.
D’estate vado in Liguria, l’Aurelia è un cimitero: guidare ubriachi è da pazzi. Non c’è nulla da scherzare (l’abbiamo fatto tutti, lo so, ma abbiamo fatto male).
L’etilometro è uno strumento interessante. Ma, dopo quel che mi è successo sabato, direi anche misterioso.
A una sagra bisboccio moderatamente: durante la cena bevo una birra media, poi, mentre guardo gli anziani ballare la mazurca, tracanno un Averna. Quindi incontro tre addette dell’ASL che per sensibilizzare l’opinione pubblica propongono un alcol test. Lo faccio volentieri: vediamo un po’ come funziona il mio corpicione.
Beh, il mio corpicione funziona benone o il tester male: il risultato è 0,00.
Zero assoluto. Illibato. Come un astemio dalla nascita. Come un infante.
La signora dell’ASL mi chiede, sinceramente colpita: “cosa pensa di fare adesso?”.
“Credo che andrò a bermi un’altra birra”, rispondo io.
Tanto guida mia moglie.