Da dove arriva la pera nobile? Difficile dirlo, forse addirittura impossibile. Gentile e abbondante ma di dimensioni piuttosto modeste, con una buccia sottile giallo verde sfumata di rosso e rosato e la forma conica che si snellisce mano mano che ci si avvicina al picciolo, pare che le sue radici portino di fatto in Emilia Romagna: quel che è certo è che si tratta di una varietà dalla storia lunga, che trova il primo eco nel passato addirittura a metà del Quattrocento, la prima testimonianza bibliografica – dove viene descritta come un frutto bislungo, zalletto, un poco rossetto, di pelle suttile, di sapor delicato – quasi tre secoli più tardi e che a oggi è ufficialmente diventata un nuovo Presidio Slow Food.
Il racconto della vita della pera nobile passa però anche soprattutto per l’Ottocento, quando la duchessa Maria Luigia d’Austria – che apparentemente ne andava davvero matta – prese a promuoverne la diffusione. “Da qui partivano carri che trasportavano le nostre pere alla volta delle tavole nobiliari più prestigiose d’Europa, da Vienna a Parigi” racconta a tal proposito Mauro Carboni, referente Slow Food del Presidio. Armata della sua eccezionale serbevolezza, la pera nobile viaggiava per il Vecchio Continente; e gli anni non hanno certo scalfito le sue proprietà: ancora oggi si conserva fuori dal frigorifero da ottobre, mese della raccolta, fino alla primavera. Caparbietà e delicatezza, tuttavia, non sono bastati ad assicurare la sopravvivenza, sempre più minacciata dalla diffusione delle monocoltura, lo spopolamento e il rimboschimento.
“Purtroppo questo frutto oggi è noto soltanto ai più anziani” racconta Carboni. “Grazie al riconoscimento come Presidio Slow Food, però, vogliamo conservare e rinvigorire i saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali. La pera nobile, con il suo bagaglio di storia e di tradizioni culinarie, merita un futuro in cui sia valorizzata a dovere”. Un futuro saporito: nonostante risulti troppo croccante per essere mangiata cruda, la pera nobile viene trasformata in mostarda da alcune realtà agricole locali, consumata cotta nel vino oppure lessata – anche insieme alle castagne, perché no – in acqua; mentre nella tradizione locale è ingrediente principe del tortel dols di Colorno.