“Togliete la deforestazione dal menu” è uno slogan efficace, ma ha un difetto potenzialmente fatale – sono solo parole. E per carità, non fraintendeteci: vero che la penna ferisce più della spada e ogni parola può pesare come un macigno e tutto un po’, ma resta innegabile che gli appelli, così formulati, rischiano di cadere su orecchie ostinatamente sorde. Meglio puntare sullo scioccante, sul diretto, sul visivo: lo sa bene Greenpeace, com’è evidente dalla sua ultima campagna contro McDonald’s.
Pane morbido, formaggio fuso, insalata e pomodori freschi, salse dal colore più che eloquente e una testa di koala: questi gli ingredienti del cosiddetto Koala Burger, la punta di diamante della più recente trovata di Greenpeace per denunciare il legame tra la produzione di carne bovina degli archi dorati e la distruzione degli habitat di questi particolari animali.
La reazione del pubblico e di McDonald’s
Uno studio dell’organizzazione ha reso manifesto che ogni anno vengono distrutti 130 mila ettari di habitat a rischio di estinzione per fare spazio agli allevamenti – ricordiamo, tra parentesi, che i bovini sono notoriamente i più inquinanti – che eventualmente forniscono i punti vendita del colosso a stelle e strisce.
La campagna di Greenpeace, come abbiamo lasciato intendere, è stata declinata in più vie: qualche settimana fa un gruppo di sei attivisti vestiti da marsupiali si sono arrampicati sull’insegna di un punto vendita in quel di Melbourne, srotolando uno striscione che recitava “Togliete la deforestazione dal menu”. A muovere gli ingranaggi, però, è stato anche e soprattutto il Koala Burger, presentato con un breve video caricato sui canali social dell’organizzazione e su YouTube.
Una trovata certamente cruda, e probabilmente proprio per questo particolarmente efficace: molti consumatori australiani, scioccati dalle rivelazioni di Greenpeace, hanno fatto fronte comune e chiesto a McDonald’s di adottare misure più concrete per proteggere le foreste australiane.
La risposta del colosso dagli archi dorati non si è fatta attendere: l’azienda ha fiaccamente dichiarato di essere già impegnata a ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività, e anche di avere già dato il semaforo verde ad alcune iniziative per promuovere la sostenibilità nella propria catena di approvvigionamento. Cos’è che dicevamo, in apertura di articolo, sulle parole?