Dopo dieci anni di Eataly> –-tanti ne sono passati dal primo punto vendita (“the mothership“) aperto a Torino Lingotto-– ieri, Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera, ha chiesto a Oscar Farinetti di sapere qualcosa di nuovo sulla catena di negozi del settore alimentare specializzata in prodotti tipici.
Il fondatore, un tempo chiamato con malcelato disprezzo “quello dei frigoriferi” – alludendo al suo passato di venditore di elettrodomestici, mestiere ereditato dal padre a soli sette esami dalla laurea in Economia – ha raccontato che se oggi i punti vendita Eataly sono diffusi e apprezzati in tutto il mondo, non sempre tutto è filato tutto liscio, anzi.
Il progetto di Eataly, agli inizi, è stato infatti “un rischio pazzesco”. Come nel caso del Giappone, ricorda Farinetti.
In Giappone Eataly perdeva milioni
“In Giappone – dove vennero aperti sette punti vendita – perdevamo milioni. Non avevamo calcolato che i giapponesi mangiano italiano quanto noi mandiamo giapponese: una volta ogni tanto”.
Ma per fortuna di Farinetti, ci fu l’Eataly di New York a compensare le perdite del mercato giapponese.
Due isolati di coda a New York
“Aprimmo sulla Quinta Strada, quando ancora l’Italia nella cultura americana era Little Italy: 80 grammi di pasta 250 grammi di sugo, un etto di “parmesan”. Noi abbiamo proposto l’Italia vera. L’apertura era fissata per le 10 del 31 agosto 2010. Alle sette c’erano già due isolati di coda. Lì ho capito che ci saremmo salvati”.
Ma per quanto oggi Eataly sia un marchio affermato, i problemi continuano a ripresentarsi, con punti vendita ancora in perdita, come quello di Bari, o problemi interni agli stabilimenti, per esempio i furti ad opera del personale.
Eataly Bari perde ancora oggi
“In tutti gli ipermercati del mondo la maggior parte dei furti avviene all’interno –osserva Farinetti–. Ma non è con i controlli che si risolve il problema, è con le motivazioni. I dipendenti non vanno perquisiti (eppure per un periodo i dipendenti di Eataly Bari sono stati perquisiti all’uscita, n.d.r.) vanno trattati bene”.
Un problema, quello dei furti interni che Farinetti quantifica in linea con la media nazionale, vale a dire tra lo 0,05 e il 2% del valore della merce, in Italia come a Monaco o a Copenhagen. Ma non così è dappertutto, ricorda Farinetti: “in America e in Giappone non ruba mai nessuno. In America hanno paura di finire in galera, in Giappone in manicomio”.
I dipendenti perquisiti e pagati poco
E a chi lo accusa di aver pagato 800 euro al mese la sua forza lavoro, Farinetti risponde:
“Io applico i contratti di categoria, e li miglioro. Tutti hanno diritto a pranzare gratis nei rimostranti dove pranzano i clienti. Quasi tutti hanno 15 mensilità. Certo, con 1200, 1300 euro al mese non si campa bene; tenteremo di far meglio”
Il patron menziona inoltre coloro che lo hanno supportato nell’impresa di Eataly. Come Carlin Petrini, fondatore di Slow Food. “Gli esperti insegnano a pensare globale e ad agire locale. Lui mi ha insegnato il contrario: pensa locale e agisci globale”.
A essere amico di Matteo Renzi ci ho perso
C’è poi l’amicizia a cui Farinetti dovrebbe la sua fortuna, o almeno così si racconta in Italia –scrive il Corriere– quella con l’ex Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Ma il patron di Eataly rimarca come sia sia rivelata meno proficua di quanto molti pensano:
“Io, a essere amico di Renzi, ci ho perso. Non ho mai preso soldi pubblici, e in compenso sono diventato un bersaglio. Mi hanno attaccato in modo gratuito proprio perché stimavo Matteo e lo dicevo”.
E a chi gli fa notare che all’Expo di Milano la ristorazione è stata affidata a Eataly senza aver partecipato ad alcuna gara, Farinetti ribatte che è successo “dopo tre gare andate deserte. Abbiamo portato 120 osterie e tutte ci hanno guadagnato”.
Le prossime aperture
Molto coinvolti nella gestione di Eataly sono i figli di Farinetti: Francesco, responsabile di Eataly nel mondo; Nicola, per il mercato Italia e Andrea, l’enologo che segue le 19 aziende agricole, nonché i soci e collaboratori quali Luca Baffigo, che detiene una quota del 20% , Gianni Tamburi e l’amministratore delegato Andrea Guerra.
Anche se con i mirabolanti annunci di Farinetti bisogna andarci cauti, i prossimi investimenti saranno quelli di Los Angeles, Las Vegas, Mosca e poi, nel 2018, Londra e Parigi, ma anche, sostiene Farinetti (da tempo, in verità), a Catania, in Sicilia.
Un impegno che lo aiuta anche nella ricostruzione di un’immagine che forse, negli ultimi tempi –come dallo stesso Farinetti annunciato all’ultima assemblea alla Leopolda– si è rivelata un po’ distante dalla massa dei consumatori e delle persone comuni che affollano i suoi store.
Sono diventato antipatico
“Siamo diventati un po’ antipatici”, ha detto Farinetti, che ammette di “essere andato un po’ troppo in giro per talk show ultimamente, e ogni volta i miei figli mi rimproveravano: avevano ragione loro.
Anche se le critiche mi hanno fatto bene: per esempio mi hanno convinto a ritirare prodotti non all’altezza –con evidente riferimento ai prodotti della grande industria inseriti nelle referenze di Eataly e alla faccenda Novacoop. Ora in Tv vado di rado. Tengo conferenze all’estero. Sull’Italia”.
E anche Alessandro Baricco ha il suo spazio privilegiato nel cuore di Farinetti: “Baricco è una delle persone più intelligenti che abbia conosciuto.
La Holden ( la scuola torinese di Baricco per aspiranti scrittori n.d.r.) è un successo: 320 allievi, 1000 candidati. Ed è un bene, perché noi italiani siamo i più bravi al mondo a fare le cose, e i meno bravi a raccontarle. I francesi hanno un decimo del nostro patrimonio e il doppio di turisti. Baricco insegna ai giovani l’arte di narrare”.
[Crediti | Il Corriere della Sera, Dissapore.