Jonathan Gold, l’unico critico gastronomico a vincere il premio Pulitzer nel 2007, è morto sabato a Los Angeles a soli 57 anni, per un tumore al pancreas.
Nel suo obituary, l’articolo che tratteggia la figura di un personaggio scomparso, il New York Times scrive che con le esplorazioni culinarie e oltre un migliaio di recensioni pubblicate a partire dagli anni ’80, Gold ha raccontato un pezzo della storia di Los Angeles, scrivendo di locali, clienti, tacos, costolette alla brace, pizzerie post-moderne, gelaterie tricolori, porridge coreani, panini iraniani e noodles fatti a mano.
Ancora prima di Anthony Bourdain, cuoco, narratore e viaggiatore americano morto suicida a 61 anni nel giugno scorso, è stato Gold a interessarsi al cibo etnico in modo serio, facendone innamorare i suoi lettori, finalmente consapevoli che il cibo è la chiave per comprendere un popolo.
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Nulla della cucina della metropoli californiana, è stato tralasciato dalla penna Gold, mangiatore erudito attratto più dal cibo di strada che dall’alta cucina. Che aveva comunque frequentato, con reportage bellissimi come nel caso del nuovo Noma, il ristorante dello chef Renè Redzepi da poco riaperto a Copenhagen.
Gold ha scritto per numerose riviste, ma la maggior parte delle sue recensioni è apparsa su Los Angeles Times e LA Weekly (l’inserto settimanale del quotidiano californiano). Proprio per queste nel 2007, aveva vinto il Pulitzer, premio mai attribuito, né prima né dopo, a un critico gastronomico.
Uno dei tratti caratteristici era la sua estrema puntigliosità: non completava un argomento senza prima aver provato quattro o cinque locali lungo la strada, tanto da macinare ogni anno oltre 30.000 chilometri guidando e assaggiando, e se una nuova comunità di immigrati arrivava a Los Angeles, ne studiava prima gli usi alimentari in uno dei 5000 libri di cucina che possedeva nella sua biblioteca.
Jonathan Gold, nato nel 1960, era laureato in storia della musica, e di musica si era occupato entrando ancora giovane nella redazione del LA Weekly. Fino a quando, nel 1986, aveva iniziato a tenere una rubrica sui locali in cui gli piaceva mangiare.
Lo stile con cui Gold scriveva le recensioni era volutamente anacronistico, ma contemporaneo nelle frequenti allusioni, con domande retoriche dense di sfumature. La sua lentezza era proverbiale, si diceva che prendesse sul serio le scadenze solo una volta che erano passate, per tutti era lo “Usain Bolt della lentezza”.
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In Italia ci ricordiamo del critico gastronomico premio Pulitzer soprattutto per un articolo scritto nel 2014. Dopo essere stato a Caiazzo, in provincia di Caserta, Gold aveva scritto sulla rivista Food & Wine, una delle più diffuse negli Stati Uniti, che la pizza di Franco Pepe, pizzaiolo molto amato su Dissapore e non solo, era probabilmente la migliore del mondo.
[Crediti | New York Times, Eater]