“Chef, sono la cuoca dell’anno per la Guida Michelin!”.
Queste le parole con cui Caterina Ceraudo, 29 anni, chef del ristorante Dattilo, in Calabria, ha informato il suo maestro, lo chef Niko Romito, del riconoscimento appena ricevuto dalla prestigiosa guida “Rossa”, il primo del genere, ovvero “migliore chef donna” per il 2017, come riferisce il Corriere della Sera.
Un premio che riconosce il talento, la passione e l’impegno della giovane chef, ma che vuole dare spazio alla figura delle donne in cucina, ancora oggi considerate in seconda linea rispetto alla predominanza dell’universo maschile.
No alle distinzione di genere in cucina
“Io normalmente sono contraria alle distinzioni tra uomini e donne –dice Ceraudo nell’intervista–. In tutti i campi. Penso che si debba premiare il talento, non il genere, e che sia stupido distinguere gli atteggiamenti maschili da quelli femminili”.
Ceraudo, 29 anni, una laurea in Enologia e Viticoltura a Pisa, gestisce a Strongoli, in provincia di Crotone, Dattilo, il ristorante stellato situato all’interno dell’agriturismo di famiglia segnalato anche dal New York Times, che aveva inserito la Calabria, Dattilo compreso, tra le 52 mete imperdibili per il 2017.
Buona parte degli ingredienti impiegati al Dattilo, vino, olio, ortaggi e agrumi, provengono dai campi di famiglia coltivati dal padre e dal fratello di Caterina, che provvede a trasformarli nei piatti che le hanno fatto guadagnare l’ambito titolo.
“Io in cucina mi indurisco, sono concentratissima, meno dolce di quando sono fuori. Sono come un maschio? –si chiede Ceraudo– No, sono me stessa, sono così, è il modo che ho imparato di gestire l’ansia. Però in questa fase indire un premio per le donne in cucina è necessario, perché è necessario far emergere la figura delle chef, ribadire che esistono”.
Proprio come una sorta di “quote rosa” dell’alta cucina. «Sì, esatto: più chef donne si vedono meglio è, perciò ben vengano iniziative come questa. Le giovani iscritte agli istituti alberghieri o alle scuole di cucina devono ricordarsi che possono puntare in alto senza avere paura. Il mio messaggio per le ragazze è proprio questo: non abbiate paura».
Un lavoro “da maschio”
Come non ne ha avuto Caterina, che ha tralasciato la sua carriera di enologa per intraprendere quella della ristorazione:
“Ho capito che volevo fare questo mestiere relativamente tardi, sei anni fa, la Scuola di alta formazione di Niko Romito, a Castel di Sangro, mi ha folgorato. Ma poi quando sono tornata a casa e mi sono messa a gestire il ristorante di famiglia da sola, a 24 anni, con due aiuti e basta, non è stato facile. Avevo il terrore di sbagliare. Ero giovane, ero donna, in molti non mi prendevano sul serio.
Quello della cucina è un mondo molto maschile e qui al Sud questo concetto è esasperato: io li vedo i genitori delle ragazze che vengono a fare lo stage da me, sono preoccupati perché le loro figlie vogliono fare un lavoro “da maschio”. Ma quale maschio: per secoli e ancora oggi, nella maggior parte delle famiglie, a cucinare erano e sono le donne.
Il problema subentra quando si passa al livello professionale: tante lasciano perché temono di non riuscire a conciliare la cucina con la vita privata e perché il contesto non le supporta. C’è una specie di pregiudizio negativo sulle donne che si dedicano solo o maggiormente al lavoro”.
Il rispetto innanzi tutto
Pregiudizio contro cui si è sempre battuta Caterina: “Quello dello chef è un lavoro duro per tutti, la fatica, la pressione, l’ansia riguardano tutti. Però per le donne la situazione è peggiore perché l’organizzazione militare delle cucine presta il fianco al sessismo. Le donne sono viste come l’elemento debole da prendere di mira.
Quante volte, quando ero in stage in Olanda, i miei colleghi mi hanno detto “Porta tu questo bidone, sposta tu questa padella pesante, lava tutto tu”. Io all’epoca ho subito ma ho deciso che nella mia, di brigata, la prima regola sarebbe stata il rispetto. Il male, infatti, non è la gerarchia di per sé, in ambienti così stressanti l’ordine è utile. Il problema è l’atteggiamento discriminatorio.
Ora al Dattilo siamo in nove, tre donne e sei uomini: io non faccio differenze tra le mansioni ma pretendo che tutti si aiutino. E anche quando mi arrabbio —-e mi arrabbio-— alzo la voce ma sto attenta a non offendere nessuno”.
Un mondo che finora non ha riservato grande spazio al sesso femminile, considerati gli stipendi, minori del 30% rispetto ai colleghi maschi, i pregiudizi e la scarsa visibilità sui media dell’universo femminile in cucina.
“Ma le cose stanno cambiando —-dice Caterina-—. Io stessa lavoro in una struttura familiare ma il ristorante lo gestisco io, non ho una rete in quel senso.
Il segreto per arrivare in alto? Per Ceraudo la ricetta è semplice: «Sono convinta che servano volontà e organizzazione, dopodiché le donne possono fare tutto”.
Anche vincere il premio Michelin come miglior chef donna dell’anno. Brava, Caterina!
[Crediti | Link: Corriere della Sera, immagini: il ventre dell’architetto, Scatti di Gusto, ViviMilano]