L’influenza aviaria è un problema. No, niente allarmismi: atteniamoci ai fatti. Il mondo è reduce da due stagioni epidemiche di aviaria da record, riconosciute dalla comunità scientifica come le più gravi di sempre. Il virus ha da tempo preso a imperversare tra i mammiferi, uccidendo – tra le altre cose – per la prima volta anche gli orsi polari; e negli Stati Uniti il latte crudo viene individuato come pericoloso vettore di diffusione. Ora la novità è che Donald Trump avrebbe bloccato gli studi sul virus.
Stando a quanto riportato dai colleghi della CNN gli studi in questione avrebbe dovuto rivelare se i veterinari che si sono trovati a trattare bovini infetti (ricordate? Latte crudo) siano stati inconsapevolmente a loro volta contagiati. Un secondo studio, sempre stando a quanto lasciato trapelare, avrebbe documentato casi in cui persone risultate infette avrebbero trasmesso il virus ai propri animali (gatti) domestici.
Ma l’aviaria è pericolosa per l’uomo?
Gli studi di cui sopra avrebbero dovuto apparire sulla rivista ufficiale del Centers for Disease Control and Prevention, ossia il Morbidity and Mortality Weekly Report, che veniva pubblicata ininterrottamente dal 1952. La Casa Bianca, però, ha pigiato il tasto “pausa”, che rimarrà di fatto in vigore fino a quando il contenuto degli studi “non sarà stato esaminato e approvato da un incaricato presidenziale”.
Ma torniamo a noi: l’aviaria è pericolosa per l’uomo? La risposta è ni. A novembre 2024 il caso di un ragazzo canadese ha fatto il giro del mondo. Il timore degli scienziati, vivo da tempo ma ora più che mai intenso, è la capacità del virus di mutare e adattarsi ad altri organismi. Il salto di specie, insomma.
Un mese più tardi negli Stati Uniti si registra il primo caso grave in un umano. Il consenso degli scienziati è che il contagio da umano a umano non è ancora possibile, e che il rischio per la salute pubblica è pertanto da considerarsi “basso”: il virus, per sfociare in pandemia, dovrebbe andare incontro a una lunga serie di mutazioni.
L’ultimo campanello di allarme è delle ultime ore. In Nevada un lavoratore del settore lattiero-caseario è risultato positivo a un nuovo ceppo (D1.1), che circola da tempo negli uccelli selvatici e più di recente nelle vacche da latte ma che, di fatto, non aveva ancora contagiato l’uomo.
Si tratta della seconda volta che un ceppo del virus dell’influenza aviaria si “trasferisce” dagli uccelli alle mucche. “È un grosso problema”, ha affermato Michael Osterholm, esperto di malattie infettive e direttore del Centro per la ricerca e la politica sulle malattie infettive presso l’Università del Minnesota. Il virus, in altre parole, sta continuando a mutare. E, a differenza degli studi, non ha bisogno del consenso della Casa Bianca per farlo.