La consistente riduzione di carne e pesce, anche senza l’eliminazione di prodotti animali, potrebbe portare a una notevole abbattimento nelle emissioni di gas serra, contribuendo al contrasto del riscaldamento globale: lo dice una pubblicazione universitaria sulla cosiddetta dieta flexitariana.
I ricercatori dell’Università di Sydney e della Curtin University, Australia, hanno pubblicato un libro sui principali problemi di produzione e consumo di cibo a livello globale, industriale e individuale: Food in a Planetary Emergency esplora nuovi modi di mangiare per ridurre le emissioni di gas serra (GHG), proteggere gli habitat naturali e sostenere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
La Generazione Z, nata tra il 1995 e il 2010, è al centro della ricerca: con Greta Thunberg in testa, sono i giovani che si sono dimostrati più attivi nella lotta al climate change. Le scelte alimentari e i sistemi di produzione alimentare globale hanno un impatto significativo sul clima e sull’ambiente, con la produzione alimentare che contribuisce per oltre il 37% alle emissioni di gas a effetto serra.
Il libro, tratto da centinaia di studi e meta-analisi peer-reviewed sul legame tra cibo e impatto ambientale, stabilisce un’agenda di cambiamento necessario per quanto riguarda lo spreco alimentare e l’inquinamento, dagli imballaggi al consumo di carne, dall’agricoltura circolare al flexitarianesimo.
“Non c’è dubbio che l’aumento del consumo di carne a livello globale porti a un’enorme perdita di biodiversità e al disboscamento. Tuttavia, i suoi impatti sono di vasta portata, compresa la salute umana, causando obesità nei paesi sviluppati e malnutrizione nei paesi in via di sviluppo”, afferma Diana Bogueva, coautrice e responsabile del Center for Advanced Food Engineering dell’Università di Sydney.
Gli autori esortano i consumatori a includere nelle loro diete scelte più tradizionali a base vegetale, come verdure, legumi, cereali integrali, noci e frutta. Proteine complete come soia, tempeh, tofu, grano saraceno, chia, quinoa, canapa e ceci sono una fonte di aminoacidi essenziali. È per questo che paesi già tradizionalmente legati a un consumo di proteine alternative a quelle animali sono avvantaggiati in questa corsa per salvare il pianeta.
Per esempio, l’India sta rapidamente diventando un mercato chiave per le proteine vegetali. In particolare, i vegetariani costituiscono un terzo della popolazione indiana e anche il restante 70% dei non vegetariani consuma regolarmente proteine vegetali nella propria dieta. L’alto volume di flexitariani dell’India sta provocando il passaggio di origine vegetale dalla nicchia al mainstream. Attualmente, il 41% della popolazione consuma già sei o più proteine vegetali, e la maggior parte dei pasti comprende legumi, insalate, lenticchie o verdure cotte.