Lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina ha determinato, tra le altre cose, la spiacevole apparizione dello spettro dell’insicurezza alimentare. E fin qui, come si suol dire, nulla di nuovo: a onore del vero avreste dovuto vivere sotto una roccia per gli ultimi nove mesi (e se questo è il caso – beati voi) per non essere incappati nei numerosi resoconti sull’approcciarsi di una crisi alimentare su scala globale. Proprio così: di nuovo siamo certi di non aggiungere nulla di nuovo al piatto nel ribadire che l’Ucraina è di fatto uno dei principali produttori di grano e altri cereali al mondo, e che la paralisi delle sue esportazioni (solo recentemente ripristinate) hanno scatenato una fortissima incertezza sui mercati globali, con i Paesi più poveri che, naturalmente, hanno pagato il conto più salato. Quello che però potrebbe sorprendervi è che l’adottare una dieta a base vegetale potrebbe aiutare a diminuire questa incertezza. Come? Vediamolo insieme.
Dieta a base vegetale: la risposta al cambiamento climatico e anche alla guerra
Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Nature ha preso in esame le molteplici minacce affrontate dal sistema alimentare globale negli ultimi anni – minacce che di fatto spaziano dalle interruzioni della catena di approvvigionamento determinate dallo stop pandemico (lo sappiamo, parlare di Covid è fuori moda, ma che ci vogliamo fare), da eventi climatici estremi e dal sopracitato conflitto armato tra la Russia e l’Ucraina.
Per mesi vi abbiamo raccontato di prezzi alimentari in continua ascesa o dei raccolti mutilati o compromessi dalla morsa della siccità e del grande caldo; e ancora delle conseguenze sul mercato alimentare dell’imperversare della guerra. Ma che c’entra, dunque, l’adozione di una dieta con un maggiore apporto di alimenti a base vegetale? Beh, l’impatto ambientale è ovvio: abbiamo sottolineato in più occasioni come il mangiare meno carne sia la migliore arma, nel nostro modesto arsenale, contro il riscaldamento globale. Ma per quanto riguarda la guerra?
Secondo gli autori dello studio in questione l’adozione di una dieta di questo tipo nel contesto dell’Unione Europea (più Regno Unito) potrebbe migliorare la capacità del sistema di riprendersi da situazioni di forte difficoltà come, per l’appunto, l’insicurezza alimentare determinata dal conflitto, colmando al tempo stesso il divario nella produzione agricola complessiva di Ucraina e Russia sia per il consumo interno che per le esportazioni europee e inglesi.
Nello specifico, gli studiosi hanno preso in esame la quantità e il potenziale utilizzo della terra risparmiata, i cambiamenti nell’utilizzo di fertilizzanti e le conseguenze nelle emissioni di carbonio; valutando il livello di raccolti “risparmiati” dal sopracitato cambiamento di dieta e colmando le eventuali lacune prodotte determinate dal conflitto russo-ucraino. Se queste lacune dovessero tuttavia rivelarsi troppo grandi, gli studiosi hanno assunto che potrebbero essere colmate con la produzione dai terreni “risparmiati”.
Complessivamente il passaggio a una dieta a base vegetale andrebbe a salvare un’ampia percentuale di raccolti, riducendo il consumo eccessivo di zucchero additivo e prodotti animali – un risparmio che già da solo sarebbe sufficiente a compensare quasi tutte le esportazioni alimentari provenienti dal blocco Ucraina+Russia (UA+RU). Come già accennato, questa stima non tiene ancora conto della produzione “in più” che potrebbe essere ottenuta attivando il terreno extra ottenuto da un passaggio a una dieta vegetale.
È questo soprattutto il caso del grano: per compensare del tutto la produzione UA+RU, infatti, il 65,2% del grano dovrebbe essere prodotto su terra risparmiata. Tuttavia, il grano risparmiato dal cambiamento dietetico in questione sarebbe sufficiente a coprire le esportazioni perse; e parte parte di questo grano risparmiato, una volta reindirizzato verso i mercati internazionali, andrebbe a compensare il deficit sopracitato.
In definitiva, una svolta verde sembra una delle armi più accreditate per affrontare un futuro che, di fatto, presenta connotati innegabilmente minacciosi. L’ideale, perché no, sarebbe affiancarla a una spinta alla ricerca della cosiddetta carne coltivata – ma sappiamo che dalle nostre parti tira una brutta aria, in questo senso.