Come sono cambiati i connotati dell’agroalimentare italiano nel corso degli ultimi dieci anni? La risposta è certamente ampia, ma anche precisa: basta dare un’occhiata al Food Industry Monitor, l’osservatorio realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e da Ceresio Investors che ha preso in esame un campione di circa 840 aziende, con un fatturato aggregato di circa 90 miliardi di Euro, attive in 15 comparti del settore food.
L’avrete già intuito – in questo articolo si danno un po’ di numeri, ma nel senso buono. Cominciamo con il montare quella che è l’impalcatura contestuale all’interno della quale andremo a muoverci: l’osservatorio si impegna ad analizzare le performance delle aziende focalizzandosi su di cinque particolari dimensioni – crescita, export, redditività, produttività e struttura finanziaria -, elaborando, per ogni comparto, anche delle previsioni di crescita di fatturato ed export relative al biennio 2024-25.
Parola ai numeri: il food italiano sta performando bene?
Bando alle ciance, dunque, e cominciamo con il sottolineare che, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2023, il food italiano ha fatto registrare una crescita in valore di 37 miliardi complessivi (passando da 53 a 90, per l’appunto); con il flusso in export in particolare che ha messo a segno un aumento da da 23 a 44 miliardi di euro.
Dal 2013 al 2022 il fatturato medio è cresciuto del 4,4% annuo; il cui corpo è di fatto costituito di una moltitudine di PMI a controllo prevalentemente familiare che, pur garantendo una importante patente di qualità, rappresentano anche un limite oggettivo nel confronto internazionale. A tal proposito è interessante evidenziare il ruolo e la portata delle acquisizioni, importante dispositivo di crescita e di espansione “territoriale”, per così dire.
Le aziende del campione Food Industry Monitor hanno realizzato, a partire dal 2009, 72 acquisizioni di cui ben 26 verso target internazionali; con aumenti del fatturato di poco inferiore al 90% e un miglioramento dell’EBIT margin del 6% dopo tre anni dalla conclusione dell’operazione. Fino a ora non male: ma com’è stata la tenuta nell’ultimo anno, macchiato da forti aumenti dei prezzi e decisi scossoni internazionali?
I numeri, ancora una volta, sono accompagnati da incoraggianti segni in verde: il 2023 ha visto una crescita el 10% grazie sia alla buona tenuta del mercato interno sia alle eccellenti performance riscontrate nell’export, che ha raggiunto un valore di 44 miliardi di euro registrando una crescita del 6,3%. E il futuro?
La lettura proposta dall’osservatorio è più che eloquente: “La crescita del settore proseguirà nel biennio 2024-2025 con tassi superiori al PIL“. Scendendo più nei particolari, “per il 2024 si prevede una crescita del +4,8%, mentre per il 2025 la crescita sarà del 5,2%. Anche l’export continuerà a crescere; stimiamo infatti che nel 2024 la crescita delle vendite all’estero sarà del 8,1% e nel 2025 del 7,3%”.
Alla lodevole tenuta nelle crisi congiunturali degli ultimi dieci anni – comprese, è chiaro, guerra e pandemia – è ora di aggiungere la tenacia necessaria a “consolidare gli eccellenti risultati del periodo post Covid”, ha spiegato Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking per Ceresio Investors. “La crescita dimensionale è una priorità che deve essere perseguita anche attraverso acquisizioni e fusioni”.