Diageo chiude lo stabilimento dove nacque Cinzano, un pezzo di storia italiana

Diageo decide di chiudere l'ex stabilimento Cinzano, nel cuneese, dove attualmente lavorano 349 dipendenti: cosa succederà a loro?

Diageo chiude lo stabilimento dove nacque Cinzano, un pezzo di storia italiana

L’ex stabilimento Cinzano ha le ore contate. A darne l’annuncio è la stessa Diageo, colosso d’Oltremanica specializzato nella produzione di alcolici e proprietario dello storico stabilimento nel cuneese. Le giustificazioni sono fredde e laconiche: si legge di “impianti obsoleti”, di “dimensioni ridotte”, dell’esigenza di “focalizzare gli investimenti sui siti ritenuti strategici”.

Insomma: non si scappa alla legge del numero, e l’avere una storia alle spalle non costituisce un’eccezione. Stando a quanto lasciato trapelare la chiusura è prevista non prima di giugno 2026, e Diageo, che appena una manciata di mesi fa ha fatto registrare per la prima volta una perdita di ricavi, si è detta disponibile a “valutare soluzioni alternative per il futuro del sito, ivi inclusa la possibile cessione a terzi”.

E i lavoratori?

cinzano

Attualmente lo stabilimento, sede storica della Cinzano fino agli anni Novanta, offre lavoro a un totale complessivo di 349 dipendenti. L’azienda ha fatto sapere che garantirà “pieno sostegno” a tutti loro “nel corso di questo processo”; ma i sindacati hanno già indetto, per la giornata di oggi 27 novembre, uno sciopero di otto ore per goni turno di lavoro. Dalle ore 9:30 fino a mezzogiorno, per di più, si terrà un presidio-assemblea di fronte all’azienda.

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Tra i presenti anche Alberto Cirio, presidente della regione Piemonte: “Entro questa settimana incontrerò l’azienda per avere un quadro chiaro della situazione” ha spiegato. “La Regione farà tutto quanto possibile, assieme alle istituzioni locali, per scongiurare il rischio di chiusura di una realtà produttiva tanto importante per il nostro territorio”. Per casa Diageo, però, il dado è tratto. 

Le motivazioni dietro la chiusura sono più o meno numerose, ma tutte accomunate dallo stesso carattere – l’obbedienza alla legge del numero, per l’appunto. “Solo una minima parte della produzione di Santa Vittoria è destinata al mercato italiano” si legge in una nota stampa dell’azienda.

Lo stabilimento sarebbe “posizionato lontano dai principali mercati”, con i mercati del Nord Europa che potrebbero essere “più facilmente serviti dagli stabilimenti del nord di maggiori dimensioni e tecnologicamente più avanzati“.