Il concorrente più importante ai Good Food Awards di quest’anno? La controversia. Personalità caustica e inquieta, tant’è che pare sempre pronta a riprendere la fermentazione, ma sempre e comunque benvenuta in qualsiasi evento degno di questo nome: d’altro canto, come si suol dire, la cattiva pubblicità non esiste. A noi, dunque: la cosiddetta pietra dello scandalo è da ricercarsi qualche mese addietro, a gennaio, quando la giuria dei GFAs individuò i finalisti della competizione. Tra di essi spiccava anche e soprattutto un formaggio blu prodotto da Climax Foods, società con sede a Berkeley, California.
Il motivo è presto svelato: badate bene, la risonanza mediatica del Climax Blue non è legata a una questione di cremosità, di sapore o di intensità; ma più banalmente di ingredienti. Il Climax Blue, in altre parole, non è fatto con latte di mucca o di capra, ma con una miscela di ingredienti tra cui semi di zucca, fagioli di Lima, canapa semi, grasso di cocco e burro di cacao. Il Climax Blue è un formaggio vegetale tra formaggi tradizionali.
“Un vaso di coccio tra tanti di acciaio?” Non proprio
Vale la pena notare, tanto per cominciare, che il nostro protagonista è di fatto già presente nel menu dell’Eleven Madison Park di New York, celeberrima creatura di Daniel Humm che da un paio di anni a questa parte ha deciso di seguire una filosofia strettamente vegana. Anche considerando la sua presenza in uno de più iconici palcoscenici stellati al mondo, però, la sua presenza come “infiltrato speciale” in una degustazione alla cieca tra i “colleghi” più tradizionali ha finito per alimentare le controversie.
La Good Foods Foundation, che supervisiona l’assegnazione dei premi, ha tentato di correre ai ripari offrendo un compromesso: se il Climax Blue fosse stato eletto vincitore, allora la fondazione avrebbe nominato un co-vincitore e valutato, per l’anno a venire, la creazione di una categoria ad hoc per i formaggi vegetali. Soluzione ruffiana e di facciata: la settimana scorsa, l’ultima prima dell’annuncio dei vincitori, la GFF ha silenziosamente rimosso il Climax Blue dall’elenco dei finalisti.
I colleghi del The Washington Post hanno tentato di contattare la direttrice esecutiva della Good Foods Foundation, Sarah Weiner, ottenendo solamente spiegazioni più o meno vaghe e, ci tocca dirlo, piuttosto inconcludenti. Weiner ha fatto presente che, secondo le regole, qualcuno – un altro concorrente, ma non per forza – può avvisare la fondazione che un concorrente potrebbe non soddisfare i requisiti attestati e necessari alla partecipazione, che includono elementi come il rispetto delle linee guida sulla zootecnia, ove applicabile, e l’offerta ai dipendenti di salari equi.
L’intera vicenda diventa ancora più grossolana se consideriamo che Oliver Zahn, CEO di Climax, ha confidato al Post che il suo formaggio era di fatto destinato a prendersi il primo posto sul podio (è bene notare che i concorrenti sono invitati a mantenere il riserbo fino alla cerimonia finale: ma perché attendere, quando si è stati silenziosamente rimossi dalla competizione stessa?), e accusato la GFF di avere ceduto alle pressioni dei casari più strettamente tradizionali.