Ragazzi, ma quanto dev’essere comodo ragionare sempre per tifoserie? Da una parte noi, belli, profumati, difensori dell’italianità e della patria e dall’altra quegli altri, che so’ brutti, so’ zozzi, so’ drogati e soprattutto so’ – reato imperdonabile, questo – poveri. Da una parte la virtù, l’altra l’indecenza. Per carità, non è che vogliamo a scomodare un ragionamento per massimi sistemi per le più recenti dichiarazioni di Daniela Santanché, che da vera paladina del tricolore ha alzato il suo vessillo in difesa degli spaghetti alle vongole sulle spiagge italiane; ma è evidente che nelle sue parole ci sia un sottotesto che abbonda di classismo, di conflitto di interessi, di luogo comune e – fatecelo dire – anche un po’ d’ipocrisia. Come si suol dire: è ‘na questione complicata. A strati, ecco, come i vestiti che fanno mettere ai bimbi quando vanno in gita. Vediamoli un po’ insieme, dai.
Di spiagge libere e spaghetti
I proverbiali due piccioni con una fava: con mezza frase si attaccano le spiagge libere, che signora mia, si sa, sono piene di drogati; e le multinazionali cattive che vogliono abolire le eccellenze italiane come il prosciutto e melone a trenta euro o il lettino di mezzo metro quadrato. “Credo che prima di otto mesi, un anno non saremo in grado di fare le gare” per le concessioni balneari, ma “io credo sia meglio assegnare prima le spiagge che non sono assegnate” ha dichiarato il nostro ministro del Turismo, Daniela Santanché, durante il suo intervento all’Assemblea di Confesercenti. “Ci sono spiagge libere meravigliose dove ci sono rifiuti e tossicodipendenti”.
Et voilà – comodo, efficiente, conveniente. Ora, non sappiamo bene quali spiagge libere abbia frequentato Santanché, ma attingere a quel vado immaginario collettivo per cui quello che non vuole (o che non può) pagare un piccolo mutuo per una sdraio in un quadratino di sabbia è uno sporco buono a nulla è una mossa indubbiamente vantaggiosa quando si vuole portare avanti una certa narrativa. Quale? Semplice: quella che, come accennato, vuole i giusti da una parte e i degenerati dall’altra.
Ma proseguiamo: Santanché aggiunge che quelle sulle concessioni balneari “sono deleghe che ha il ministro Musumeci, io sono stata tirata in ballo per un presunto conflitto di interessi”. Presunto, la parola chiave. Chi non ha vissuto sotto una roccia ricorderà senz’altro che Daniela Santanché è stata socia fino al 25 novembre scorso del famoso Twiga, in quel di Forte dei Marmi. Facendo lei parte della schiera dei giusti, ha naturalmente dovuto cedere le sue quote per evidente conflitto di interesse – e così ha fatto, chiaramente. A chi? Beh, l’ha ceduta dividendola equamente tra Flavio Briatore, diventato così socio di maggioranza assoluta della società, e il compagno Dimitri Kunz d’Asburgo Lorena. Presunto – vi ricordiamo la parola chiave. Non fate i malpensanti: non c’è nulla da vedere, qui.
Il menu del Twiga: un tripudio di italianità
L’ultima freccia all’arco la scagliamo contro un nemico troppo grande per essere mancato: le multinazionali. Massa acefala ma indubbiamente malvagia, che vuole rovinare le tradizioni italiane che a noi tanto piacciono, come il sushi. Come? Arriviamo a tempo debito, non temete. “Mi sentirei male” se le spiagge venissero gestite da multinazionali che potrebbero “standardizzare” l’offerta, “se non potessimo più mangiare i nostri spaghetti alle vongole piuttosto che le melanzane alla parmigiana”. Ragazzi, va bene essere fieri della propria cucina, ma ci piacerebbe credere che l’Italia possa essere anche altro – altrimenti tanto vale lamentarsi quando l’Economist usa ancora una volta lo stereotipo del pizza, pasta e mandolino (che poi che roba è un mandolino?) per parlare del Bel Paese.
Ma a parte questo – quel che salta inevitabilmente all’occhio è il fatto che proprio nel menu del sopracitato Twiga, evidente roccaforte dei giusti, campeggino bellamente intere sezioni dedicate a sushi e sashimi. Buoni eh, per carità, ma non dovevamo difendere quella bella parola ormai piena di vento che è “l’italianità”?
Ma no, il timore è che il litorale finisca nelle mani di imprenditori stranieri “che toglierebbero quelle che sono le nostre peculiarità, perché nei nostri stabilimenti balneari, a seconda della regione, c’è un tipo di ospitalità, di cibo, di accoglienza”. Il famoso sushi della costa toscana, già. Ma poi vuoi mettere il nagiri di nonna Peppa?