Dopo le difficoltà degli ultimi due anni, legate all’imperversare della pandemia da Covid-19, molti dei Paesi emergenti si sono ritrovati in situazioni economiche piuttosto delicate a causa dell’erogazione di varie misure di protezione sociale. Una vulnerabilità che, di fatto, è stata travolta dallo scoppio della guerra in Ucraina, che ha causato un ulteriore aumento dei prezzi del cibo (basti pensare a grano, mais e altri cereali), alimentando così il rischio di una crisi alimentare e di disordini civili.
Ci riferiamo a Paesi come l’Egitto, il Brasile, la Tunisia, le Filippine, l’Argentina e anche Libano, Kenya e Bangladesh: nazioni che, secondo le classificazioni della Banca Mondiale, rientrano nella categoria del “reddito medio” e che, come accennato in apertura, hanno retto allo scossone causato del Covid uscendone tuttavia ammaccate e fragili da un punto di vista economico. Stando infatti a un rapporto di Verisk Maplecroft, una società di consulenza sul rischio, tre quarti delle nazioni che vivono un “rischio alto o estremo” di disordini civili entro il quarto quadrimestre del 2022 fanno parte della categoria dei Paesi a reddito medio.
“Con il futuro che ancora non offre una risoluzione al conflitto in corso, la crisi globale continuerà fino al 2023” si legge nel report sopracitato. “Alcuni Paesi rischiano di cadere in un circolo vizioso, per cui il peggioramento della governance e degli indicatori sociali li rende dei paria degli investimenti ESG, impedendo gli afflussi necessari per migliorare le prestazioni economiche e soddisfare le esigenze della società”.