Durante la scorsa settimana, nella città di Xiamen, sulla costa della Cina, più di cinque milioni di persone sono state sottoposte a un test di massa per verificare la positività al Covid-19; dopo che nei giorni precedenti le autorità sanitarie rilevarono circa 40 casi del virus. Gli esseri umani, tuttavia, non sono stati gli unici ad aver dovuto sopportare un nuovo appuntamento con il tampone: lo stesso destino è infatti capitato anche ai pesci e altre forme di vita marina, come granchi e altri crostacei- una cortesia del Maritime Pandemic Control locale, che ha esteso i test non solo ai pescatori al momento del ritorno in porto, ma anche al loro pescato.
Per quanto possa apparire come una pratica bizzarra, le stesse autorità sanitarie locali hanno spiegato che si tratta di una precauzione già presa dai propri colleghi della città di Hainan, che ha registrato più di 10 mila positività dall’inizio di agosto e fatto risalire il focolaio alla comunità di pescatori. Consideriamo, per di più, che la stessa pandemia ha di fatto avuto origine da un mercato di animali vivi e frutti di mare in quel di Wuhan, o al fatto che nel giugno del 2020 i media cinesi affermarono che il Covid-19 fu individuato sui taglieri utilizzati per il salmone importato, ed è facile comprendere come il personale medico abbia tratto legami tra le forme di vita marina e il coronavirus.
A onor del vero sottolineiamo, tuttavia, che la comunità scientifica ritiene che sia improbabile che i frutti di mare (o altre forme di vita marine) possano essere un ospite valido per il virus – anche se molti dei focolai registrati nel Paese del Dragone sono stati di fatto collegati ai lavoratori portuali, a quelli che gestiscono merci della catena del freddo o ai lavoratori dei mercati di pesce.