La formula, nella sua crudezza, è più semplice di quanto si potrebbe pensare – macellare, anziché abbattere, gli animali infetti e che potrebbero trasmettere malattie all’uomo. E i risultati, tradotti in numeri, sono più che eloquenti: 27 focolai di tubercolosi e 17 di brucellosi nella sola provincia di Palermo, tutti registrati dalle autorità competenti negli ultimi dodici mesi.
Sono questi i connotati nascosti dell’industria della macellazione clandestina siciliana. Connotati feroci, gretti, mossi – come riporta anche Il Fatto Quotidiano – da Cosa nostra, e che di recente sono stati discussi in quel di Bruxelles. Giuseppe Antoci, eurodeputato del Movimento 5 Stelle, non ha dubbi: “Questa è un’emergenza sanitaria”.
Come funziona la macellazione clandestina?
A muovere gli ingranaggi del meccanismo e, vien da sé, a generare il profitto è quel principio fondamentale che abbiamo accennato in apertura di articolo: i bovini, gli ovini e più in generale gli animali con malattie trasmissibili all’uomo andrebbero abbattuti proprio per scongiurare questo rischio.
I clan mafiosi, stando alle ricostruzioni, sarebbero soliti sostituire il microchip identificativo – anche noto come bolo alimentare – e poi macellare gli animali ammalati in mattatoi abusivi, trasformandoli in cibo destinato alle tavole dei locali. I bovini infetti venivano poi sostituiti con esemplari sani, rubati, a cui veniva impiantato il microchip di quelli ammalati. Tutto chiaro?
I numeri, dicevamo, indicano tutti nella stessa direzione: in Sicilia, nel periodo compreso tra il 2011 e il 2016, si è registrato almeno mezzo milione di casi di furti di bestiame – un’abbondanza tale da “coprire” gli animali infetti che venivano fatti “sparire”, per l’appunto. Vale poi la pena notare che, allo stesso tempo, i dati indicano un vero boom di infezioni e malattie tra i capi: nel 2016, su un totale nazionale di 434 focolai di tubercolosi, addirittura 334 provenivano dalla Sicilia, di cui un terzo nel solo comune di Caronia, in provincia di Messina.
Le forze dell’ordine hanno lavorato proprio su di queste discrepanze, chiedendosi anche e soprattutto se ci fossero interi allevamenti infetti che venivano però considerati sani. Gli agenti che presero parte alle indagini divennero noti con il nomignolo di “poliziotti vegetariani”: ciò che scoprirono fu sufficiente a spingere loro a smettere di mangiare carne.
Sono passati otto anni circa: Antoci, allora presidente del Parco dei Nebrodi, è sopravvissuto a un attentato e ora è tornato a portare il caso sulle tavole di Bruxelles. “La Commissione europea deve intervenire e combattere in modo più incisivo questo business che mette a repentaglio la salute dei siciliani” ha spiegato ancora lo stesso eurodeputato. “Chiederò di recuperare immediatamente i fondi europei della Pac che sono stati versati in passato ai titolari di aziende mafiose nonché di combattere la mafia dei pascoli e le sue ramificazioni nella burocrazia siciliana con strumenti normativi più adeguati a questa sfida”.