L’idea è piuttosto semplice, e nella sua essenza è pienamente condivisibile. Si tratta di una proposta di legge europea di iniziativa popolare che – e citiamo direttamente Coldiretti, promotore dell’iniziativa in questione – “mira a estendere a tutti i prodotti alimentari commercializzati nell’Unione Europea – compresi i cibi per bambini: e qui sta il punto, ndr – l’obbligo di riportare in etichetta l’origine geografica”.
La notizia dell’ultima ora è il fatto che la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) abbia apposto la propria firma alla proposta di cui sopra, rendendo palese il proprio supporto. “L’alimentazione dei bambini nei primi mille giorni pesa sulla salute della vita intera” ha eloquentemente commentato Antonio D’Avino, presidente FIMP.
Cos’è che non convince?
Di nuovo: è bene sottolineare che la proposta, così descritta, è condivisibilissima; e il punto di vista dei pediatri, che giustamente sostengono che l’origine degli alimenti debba essere indicata in maniera chiara, è altrettanto comprensibile. D’altro canto anche su queste stesse pagine abbiamo trattato a più riprese l’importanza dell’alimentazione nei primi mille giorni di vita, i più delicati.
In quella fascia di età “non può e non deve essere considerato alla stregua di un piccolo adulto” ha ribadito Ruggiero Francavilla, Professore Ordinario di Pediatria presso il Dipartimento Interdisciplinare di Medicina (DIM). I primi punti più pruriginosi, di fatto, emergono leggendo le dichiarazioni di Ettore Prandini, numero uno di Coldiretti.
“Per il cibo destinato ai bambini da 0 a 3 anni, origine italiana significa non solo più qualità, ma anche più sicurezza” ha dichiarato il nostro. Ora: perché presupporre che italiano sia necessariamente meglio? Perché trasformare una proposta che, come abbiamo più volte ribadito, è assolutamente condivisibile, in una battaglia dove ci si deve schierare sotto una bandiera? E non è tutto.
“Crediamo fortemente nella sinergia fra Filiera Italia, Coldiretti e i pediatri italiani, resa possibile anche da partner come Plasmon, che da anni ha puntato sulla filiera italiana” ha aggiunto Luigi Scordamaglia, Amministratore Delegato di Filiera Italia. Qui un secondo appunto: perché inserire un privato – che ha evidentemente sottoscritto un accordo di filiera, sì, ma che come privato farà giustamente i propri interessi – in una proposta di legge?