Kamala Harris non è “una presidente da fast food”, è il messaggio più o meno implicito nel modo in cui la candidata sta utilizzando il cibo come strategia nella sua corsa alla Casa Bianca. Prima ancora del suo rapporto con la cucina, però, c’è da seguire il filo di Arianna fino ai supermercati e poi allo stesso cuore dell‘industria alimentare, che nelle ultime ore ha redatto una risposta piuttosto stizzita ai piani della candidata.
Un po’ di numeri, prima di buttarci nella proverbiale ciccia. Sotto l’amministrazione Biden-Harris, i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 21%, incastonati in un più ampio contesto di impennata inflazionistica che ha aumentato i costi complessivi di circa il 19%. Dati alla mano, nel mese di luglio i prezzi dei generi alimentari risultavano cresciuti del 27% rispetto allo stesso mese nel periodo pre-Covid (2019).
È una storia nota anche al di qua dell’Oceano Atlantico: i nostri lettori ricorderanno di tentativi come il carrello tricolore per tamponare i prezzi. Ora: c’è chi potrebbe, con piena cognizione di causa, sostenere che il pre-Covid appartenga ormai alla storia antica. La pandemia prima e le guerre dopo hanno sconvolto il mercato, paralizzando a più riprese le catene di approvvigionamento e scatenando l’ormai nota a tutti crisi energetica. Per Harris, però, non è tutto qui: la sua idea è che ci sia anche lo zampino delle stesse aziende alimentari.
Accusa e risposta
La nostra protagonista ha dunque accusato le stesse aziende alimentari di avere approfittato della congiuntura internazionale per alzare i prezzi dei beni di prima necessità, e propone di istituire una serie di controlli sugli stessi prezzi in modo tale da evitare nuove impennate e invertire la tendenza al rialzo. L’industria non ha gradito.
La risposta si è tenuta sui toni già noti: i rincari sono dovuti alla crescita vertiginosa dei costi della manodopera, delle materie prime e dell’energia, che rischiano di compromettere i margini di profitto necessari a sviluppare nuovi prodotti.
“Comprendiamo la radice di questo malcontento” ha spiegato Andy Harig, vicepresidente di FMI, un gruppo commerciale che rappresenta rivenditori e fornitori di prodotti alimentari, in una breve intervista al Wall Street Journal. “Ma sostenere che ci sia della malizia penso che sia eccessivamente semplicistico“.
L’opposizione ai piani di Harris è netta. “La proposta che chiede di vietare le ‘truffe’ sui prezzi dei generi alimentari è una soluzione che genererà altri problemi” ha fatto eco la National Grocers Association, ancora stando a quanto riportato dal Journal. E Trump, che solo pochi giorni fa ha accusato Harris di volere boicottare il cheeseburger a stelle e strisce?
Lui non ha alcun dubbio: la sua idea è la proposta della candidata rivale sia una politica dallo “stile sovietico” che andrebbe a innescare un’inflazione ancora più aggressiva.