Producendomi grande sconforto, i miei figli preferiscono i gelati industriali a quelli artigianali. Hanno sei e otto anni e li capisco: i prodotti delle fabbriche sono più colorati, più facili da mangiare, hanno un packaging accattivante, un sacco di malizie –da quelli con gli smarties a quelli a forma di razzo– e sono dolcissimi.
Proprio come piacciono a loro.
Non li biasimo, dunque, anche se ci rimango male tutte le volte che passo davanti a una gelateria super-buona e loro mi trascinano al bar a fianco a prendere un cono pressofuso con il KitKat dentro.
[Il Test sulle vaschette di gelato del supermercato]
Mentre loro ordinano mi soffermo di fronte al tabellone dell’Algida o della Sammontana e in un momento proustiano mi ritornano in mente tutti i gelati industriali della mia gioventù.
Quali erano? Vado a memoria, in ordine sparso:
– ghiacciolo;
– Cucciolone;
– Cornetto;
– Coppa del Nonno;
– Gran Biscotto;
– Calippo;
– Pinguino;
– Ricoperto;
– Cremino.
Ricordo che a un certo punto invidiavo ad altri bambini una “bomboniera” che faceva molto chic, poi ho ben presente l’arrivo del mio gelato preferito di sempre, il Solero Ice, e a un certo punto il totale imperialismo culturale del Magnum che giunse negli stabilimenti balneari come un carro armato.
Incuriosito, dunque, l’altro giorno mi metto a guardare uno di questi cartelloni e scopro che non c’è una sola novità rilevante rispetto a venti, trenta, quasi quarant’anni fa: i gelati quelli erano, quelli sono.
[La classifica 2016 dei gelati confezionati più buoni]
L’ultima vera svolta è stata la linea Magnum, mi pare. Ma è mai possibile che da allora nessun genio chiuso in un laboratorio di una multinazionale abbia avuto un’altra pensata?
Su, dai, tutti i nostri figli sono affamati di novità: industria gelatiera, è giunta l’ora di darsi da fare!