Il Coronavirus spinge la richiesta di carne vegetale, la cosiddetta “carne non carne”, anche in Asia. Il trend era già stato osservato negli Usa, con un + 264% di vendite durante i mesi di lockdown.
Merito di diversi fattori: innanzitutto una filiera più semplice da tenere in piedi anche durante una pandemia: la produzione di carni sintetiche, infatti, è fortemente tecnologizzata e richiede l’impiego di molto meno personale umano rispetto all’allevamento, macellazione e vendita della carne “vera”. Poi, sicuramente, anche la volontà di abbracciare stili di vita (e diete) considerate più salutari, abbandonando quindi – almeno in parte – le carni rosse a favore delle materie prime vegetali.
La conquista dell’Asia, per i produttori di carne non carne, era appena iniziata: giusto negli ultimi mesi Beyond Meat (uno dei principali produttori mondiali) ne stava approfittando per approdare sul mercato cinese, stringendo accordi con Starbucks e KFC per piazzare i suoi prodotti. E in effetti, il periodo sembra essere quello giusto per la carne vegetale sul mercato asiatico. Già prima della pandemia, Euromonitor International aveva valutato il mercato delle carni sostitutive nella regione Asia-Pacifico 15,3 miliardi di dollari nel 2019, con un aumento del 4,75% rispetto all’anno precedente.
La pandemia ne ha ulteriormente accelerato la crescita, con previsioni di mercato che parlando di un’espansione a 17,1 miliardi di dollari nel 2020. la motivazione sembra essere principalmente di origine salutista: “sempre più consumatori hanno interesse per le carni alternative dopo l’epidemia di coronavirus poiché hanno sempre più preoccupazioni sulla sicurezza alimentare”, ha affermato Seiichi Kizuki, direttore della ricerca presso il Mitsubishi Research Institute.
[Fonte: Nikkei Asian Review]