Da Voxeurop arriva una ricerca allarmante, che riguarda due tra i marchi agroalimentari più celebri in Italia e nel mondo, e di come questi siano direttamente coinvolti nel disastro ambientale. Si tratta di Parmigiano Reggiano e Prosciutto San Daniele, che a quanto dimostrano i dati raccolti contribuiscono alla deforestazione.
Come? Tutto a causa della soia importata dall’Argentina – dal Chaco, area da anni già soggetta a una sempre più grave deforestazione – e destinata al mangime per gli animali. Non solo, Voxeurop parla anche di “prodotti a base di soia di sospetta origine” nascondendosi dietro scappatoie legali europee.
Parmigiano Reggiano, Prosciutto San Daniele e la soia argentina non tracciata
Sono riconosciuti entrambi dall’Unione Europea come prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e la loro produzione è autorizzata solamente nelle zone che conferiscono al prodotto le particolari caratteristiche che lo rendono tale. Questo, secondo il disciplinare proposto dai produttori, concordato con il Ministero dell’Agricoltura e la Commissione Europea. Il disciplinare di Parmigiano Reggiano e Prosciutto San Daniele autorizza l’uso della soia nell’alimentazione animale, in percentuale che è addirittura aumentata degli ultimi due anni.
Anche l’obbligo di tracciabilità è inserito del disciplinare, ma la ricerca attesta che “sia il San Daniele che il Parmigiano Reggiano hanno recentemente introdotto sistemi digitalizzati di tracciabilità che non coprono l’origine dei prodotti utilizzati per l’alimentazione animale”. Un’ulteriore nota fa presente che “nell’ultima versione della propria politica di sostenibilità, pubblicata nel 2023, Prosciutto San Daniele non attesta alcun impegno a rimuovere dalla filiera i prodotti provenienti dalla deforestazione”.
Le aziende rispondono alle gravi accuse
Il problema sussiste ed è accompagnato da gravi accuse. Come denuncia Nico Muzi della ONG Madre Brava, “i detentori del marchio DOP non possono garantire che i loro maiali non siano nutriti con soia argentina associata alla distruzione delle foreste del Chaco. La loro totale irresponsabilità, come quella dei grandi produttori di mangimi per animali, che importano e utilizzano la soia senza preoccuparsi delle origini e degli impatti, rende tutti i consumatori europei complici (involontariamente) di questa distruzione”.
Entrambe le aziende hanno risposto alla ricerca diffusa dal portale, e alle parole della ONG. Nicole Sivilotti del Consorzio San Daniele replica con una deviazione di responsabilità: “la responsabilità di verificare l’origine della soia non spetta agli stabilimenti che producono il prosciutto ma ai produttori di mangimi che riforniscono gli allevamenti da cui provengono i suini”. Mentre Riccardo Deserti del Consorzio Parmigiano Reggiano ha garantito che “negli ultimi anni c’è stato l’impegno di sostituire la soia con fonti proteiche alternative e locali, contribuendo così sia a rendere la DOP sempre più legata al suo territorio d’origine, sia a ridurre o eliminare l’utilizzo della soia da deforestazione”.
I dati sulla deforestazione provocata dall’Italia
La ricerca di Voxeurop si concentra sui dati della deforestazione in Argentina: i silos situati nelle aree disboscate del Chaco, la soia viene trasportata ai porti argentini di Rosario e San Lorenzo, sul fiume Paraná. Lì vengono caricati, già trasformati in farina negli stabilimenti locali di pressatura dei grandi trader internazionali, su navi mercantili dirette in Europa. I dati che il sito di monitoraggio del traffico marittimo MarineTraffic ha condiviso permettono di tracciare diverse navi che, dal 2019 a oggi, hanno attraversato l’Atlantico dai due porti argentini verso l’Italia e la Spagna.
Questi due paesi “sono rispettivamente al primo e al secondo posto in Europa, nonché al quinto e sesto a livello mondiale, per le importazioni di farina di soia dall’Argentina e per l’esposizione alla deforestazione nel Chaco”. Nel 2019, Italia e Spagna hanno importato rispettivamente circa 71.700 e 76.000 tonnellate di farina. Circa il 2,1% di questa soia proviene rispettivamente da almeno 500 e 460 ettari potenzialmente deforestati.