Andiamo in Colombia: qui l’exploit delle piantagioni di avocado non solo sta sostituendo le colture di caffè in molte zone rurali, ma sta anche mettendo a rischio la fauna locale.
Molti coltivatori locali, come il 56enne Riobardo Zapata, per generazioni hanno coltivato le loro piantagioni di caffè. Solo che il clima estremo provocato dai cambiamenti climatici, fatto di periodi di siccità prolungati alternati a piogge torrenziali, ha cominciato a devastare i raccolti nel corso dell’ultimo decennio, mettendo così a repentaglio il destino sia del caffè colombiano che dei contadini che lo coltivano.
Così, a corto di fondi e a causa dei prezzi di mercato instabili, molti contadini come Zapata hanno deciso di adeguarsi al “boom dell’avocado”. La domanda globale di avocado è salita così tanto da mandare i prezzi alle stelle, il che spiega perché alcune zone come quella dove abita Zapata si sono trasformate in distese di campi di avocado che si estendono a perdita d’occhio, rubando spazio anche alle foreste che si abbarbicano sulle montagne andine.
Zapata, come molti altri colombiani, ha deciso di abbandonare le sue piantagioni di caffè per dedicarsi al maggiormente redditizio “oro verde”. Tuttavia gli scienziati lanciano l’allarme: coltivare in maniera estensiva ed eccessiva l’avocado rappresenta una minaccia ambientale notevole in una delle regioni del mondo dove si ha la maggior biodiversità.
L’industria dell’avocado Hass è esplosa a partire dal 2014, quando gli agricoltori hanno esportato 1.408 tonnellate di avocado. Da allora la produzione è stata incrementata fino ad arrivare alle 544.933 tonnellate nel 2020.
Il frutto verde viene esportato soprattutto negli Stati Uniti, in Europa (pensate che in Italia nel 2020 le richieste sono aumentate del 67,4%) e in Asia. Attualmente la Colombia è il terzo esportatore di avocado al mondo e il più grande esportatore in Europa.
Joaquin Guillermo Ramirez, un ricercatore dell’Università Nazionale della Colombia, ha spiegato che questo boom ha del tutto trasformato l’economia nelle aree rurali della Colombia. I contadini adesso ottengono un salario equo, un’assicurazione sanitaria, una pensione e le famiglie possono beneficiare dei servizi sociali. Il che indica un miglioramento della qualità di vita nelle zone in cui si coltiva l’avocado.
Ma Ramirez ha anche sottolineato che questa “crescita totalmente disorganizzata” ha portato a una serie di effetti a catena dovuti al fatto che gli agricoltori hanno iniziato a coltivare i frutti in aree al di fuori delle loro condizioni climatiche ideali.
Coltivare l’avocado in aree più estreme vuol dire consumare più risorse e influenzare maggiormente l’ambiente e altre specie. Il fatto è che per produrre 1 kg di avocado in Cile servono circa 283 litri di acqua: sono quattro volte quello che serve per produrre 1 kg di arance e dieci volte quello che serve per produrre 1 kg di pomodori.
Espandendo le coltivazioni di avocado, ecco che gli agricoltori dovranno usare sempre maggiori quantità di acqua e sostanze chimiche per controllare i parassiti, sostanze che possono essere potenzialmente dannose.
Inoltre coltivando avocado in zone più alte delle montagne, ecco che viene ritardata la data di raccolta oltre la stagione standard dell’avocado, ottenendo maggiori profitti sul mercato globale quando l’offerta è inferiore. Ma questo danneggia gli ecosistemi locali, contribuendo anche alla deforestazione.
Sempre in Colombia, infatti, la deforestazione messa in atto per avere più spazi per coltivare l’avocado, sta distruggendo la palma da cera, una specie vegetale in via d’estinzione. E questo avrà ripercussioni anche su altre specie vulnerabili come il pappagallo dalle orecchie gialle che dipende da questi alberi proprio per sopravvivere.