Abbiate figli o non abbiate figli è uguale: andate a vedere Coco. E’ un gioiello. Una delizia. Un ottimo film per ogni età. Ed è uscito in sala ormai da qualche settimana e potrebbe non durar molto (DEVE essere visto al cinema).
“Ma che ci azzecca –per dirla con Antonino (Di Pietro, non Cannavacciuolo)– l’ultimo film d’animazione della Pixar con noi golosi?” chiederete. C’entra. C’entra. Anche se non a prima vista.
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Per riassumervi brevemente la storia ambientata in un Messico rurale, rubo la sinossi di Marianna Cappi su Mymovies:
“Miguel è un ragazzino con un grande sogno, quello di diventare un musicista. Peccato che nella sua famiglia la musica sia bandita da generazioni, da quando la trisavola Imelda fu abbandonata dal marito chitarrista e lasciata sola a crescere la piccola Coco, adesso anziana e inferma bisnonna di Miguel. Il giorno dei morti, però, stanco di sottostare a quel divieto, il dodicenne ruba una chitarra da una tomba e si ritrova a passare magicamente il ponte tra il mondo dei vivi e quello delle anime.”
Ed è quando Miguel finisce nel mondo dei morti che l’avventura si fa fantasmagorica ed emozionante. Ma, ribadirete, “Che c’entra il cibo?”
Il cibo c’entra perché nella cultura messicana, come in tante altre tradizioni, il contatto con l’aldilà passa soprattutto attraverso la cucina: per le anime dei cari le famiglie –compresa quella di Miguel– approntano banchetti, cesti di frutta, dolci, manicaretti. I “cari estinti” sono invitati a una cena sulla terra, per stare assieme ai propri eredi attorno al tavolo.
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Tra i tanti meriti di Coco c’è quindi anche quello di ribadire che la passione per il cibo non è un vezzo da gaudenti ma è un ponte, tra le persone, tra le culture, persino tra vivi e non più.
E se la cucina è buona –ma buona buona buona– allora sì, è anche capace di far resuscitare i morti.