Diventare una specialità certificata, per esempio Igp (Indicazione geografica protetta) non è per forza un traguardo vantaggioso. Le certificazioni sono tante, ma le vendite continuano a premiare pochi prodotti: grana padano, parmigiano reggiano e prosciutto di Parma in testa.
Se poi, per rendere Igp un prodotto, si accetta di snaturare l’antica ricetta, il gioco potrebbe non valere la candela. In compenso le polemiche –quelle– sono assicurate.
Sta succedendo con il cioccolato di Modica, che dopo un anno e mezzo di attese burocratiche è in dirittura di arrivo per ottenere la certificazione Igp.
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A essere in disaccordo non è proprio un signor nessuno, visto che parliamo di Pierpaolo Ruta, titolare dell’Antica Cioccolateria Bonajuto e figlio di Franco, che nel 1992 ha praticamente reinventato la ciucculatta muricana. Talmente convinto delle sue ragioni, il giovane Ruta ha iniziato a produrre delle tavolette senza indicare l’origine ma con la sola scritta ironica: “Cioccolato di un paese vicino a Ragusa“.
Per ottenere la IGP, dice Ruta, “accettiamo di snaturare il cioccolato di Modica lasciando che sia prodotto con qualsiasi aroma e ignoriamo Sciascia”. Lo scrittore siciliano de Il Giorno della civetta, entusiasta del cioccolato modicano, lo giudicava di “inarrivabile sapore”, un “archetipo”, ma solo se aromatizzato com’è sempre stato, cioè alla vaniglia e alla cannella. Stop.
Ora, però, per ottenere la Igp, il Consorzio di Tutela del cioccolato di Modica, a cui aderiscono 27 delle 46 aziende produttrici del cioccolato, è disponibile a produrre il cioccolato con qualsiasi aromatizzazione, dalle spezie agli aromi naturali, passando per sale e frutta.
Niente di male, secondo Ruta, “ma non dovrebbero essere confuse con il cioccolato di Modica tradizionale, di cui parlava Leonardo Sciascia e che è stato dimenticato nel dossier presentato per ottenere l’Igp”.
Secondo la leggenda, la tecnica di lavorazione del cioccolato di Modica con il sistema “a freddo”, che molti fanno risalire –più per questioni di marketing che per accertate ragioni storiche– agli indigeni Messicani, fu portata in Europa, Sicilia compresa, dai conquistadores spagnoli nel XVII secolo, per essere poi dimenticata e oggi finalmente ripresa.
Una lavorazione che prevede di scaldare il composto di cioccolato non superando i 40 gradi, in modo da non fare sciogliere i cristalli di zucchero, responsabili della tipica pasta granulosa.
Va da sé che non tutti la pensano come Ruta: secondo Nino Scivoletto, direttore del Consorzio, il cioccolato modicano nel corso dei secoli è stato aromatizzato con essenze diverse, come l’ambra grigia, che a dispetto del nome etereo è una secrezione intestinale dei capodogli solidificata, detta in maniera spiccia “vomito di balena”, usata e appezzata nella cosmetica.
E a proposito di Sciascia, precisa che “adesso siamo nel 2018, e i produttori si evolvono”, ponendosi come prossimo obiettivo di far diventare la tecnica per realizzarlo bene immateriale dell’Unesco, come già successo per la pizza.
Ma Ruta, che insieme ad altri produttori si batte per impedire mistificazioni di un prodotto che ha contribuito in maniera determinante a rilanciare l’economia locale, è anche preoccupato per la momentanea assenza di controlli che consenta di verificare il rispetto del disciplinare di produzione da quando la denominazione Igp sarà ufficiale, a fine Settembre.
[Crediti | Corriere della Sera]