Secondo una recente indagine dell’Università di Bergamo appena un italiano su tre è disposto ad acquistare cibo a base di insetti – un risultato tutt’altro che lusinghiero, ma che non dovrebbe affatto sorprendere. La strada allo sviluppo di questo particolare novel food, che potrebbe per di più innescare la crescita di un nuovo settore produttivo nell’industria alimentare, è infatti al momento annebbiata da una lunga serie di ostacoli che spaziano dall’ostilità atavica, tipicamente italiana, verso tutto ciò che pare minacciare con la sua sola presenza l’impronta identitaria di depositari dell’unica buona cucina al mondo; e una campagna mediatica e politica che non ha fatto alcuno sforzo per spiegare che no, nessuno vuole portarvi via la carbonara e sostituirla con le cavallette.
Cibo a base di insetti: un business in forte crescita
Ma prima di affrontare il proverbiale elefante nella stanza, un po’ di numeri: già negli ultimi quattro anni – quelli che, per intenderci, hanno seguito l’entrata in vigore del regolamento europeo che ha concesso di allevare insetti e di introdurli sul mercato – il settore del cibo a base di insetti ha attirato a sé oltre un miliardo di euro di investimenti, con le stime dell’Ipiff (l’organizzazione no-profit che rappresenta gli interessi del settore dei produttori di insetti) che raccontano di una produzione da 90 mila tonnellate entro il 2025.
Insomma, qualcosa si muove – soprattutto nel tessuto tipicamente più frizzante e pioneristico delle start up. Gli insetti potrebbero rappresentare una risposta valida (seppur ancora potenziale) alle sfide che la produzione alimentare è chiamata ad affrontare, portando a un aumento delle fonti proteiche a disposizione dei cittadini riducendo, al contempo, altre considerate più inquinanti. Mai sentito parlare degli allevamenti intensivi?
L’impronta europea, in questo senso, è ben chiara: puntare sugli insetti sia per ridurre, seppur parzialmente, la dipendenza dalle materie prime la produzione di mangimi e fertilizzanti; e al contempo massimizzare il contributo di questo neonato settore nell’ambito della sostenibilità alimentare contribuendo, perché no, alla nascita di nuovi progetti di economia circolare (ad esempio, perché no, definendo standard che regolino il commercio di escrementi di insetti o altri prodotti di scarto come fertilizzanti).
E l’Italia?
Come dicevamo, tuttavia, l’Italia si è finora opposta radicalmente a questo scenario dinamico. Pensiamo alla campagna di comunicazione di Sergio Tiberti, candidato al Consiglio nelle regionali del Lazio, che ha demonizzato la farina di grilli contrapponendola alla cucina italiana alimentando, in questo modo, il malinteso che esista un nemico acefalo e sinistronzo che voglia portare via la tradizione italica; o alla più recente strategia messa in campo dalla Lega, che nel tentativo di ostacolare deliberatamente il cibo a base di insetti ha sollevato la questione del benessere animale.
Il risultato? Il dibattito sul cibo a base di insetti è diventato una questione da tifoseria, e i toni sono quelli che ci si potrebbe aspettare – feroci, incazzati, conditi da una tale convinzione che annulla ogni possibilità di confronto. “Eppure gli insetti commestibili possono essere un’opportunità per innovare il settore e per creare valore nella filiera agroalimentare dei novel food made in Italy” spiega però Carlotta Totaro Fila, fondatrice di Alia Insect Farm, start up agricola di R&S nei novel food a filiera corta e 100% made in Italy.
“La maestria italiana nel realizzare alimenti dal gusto eccellente e nel garantire la sicurezza alimentare” continua “permetteranno di aprire interessanti prospettive per tutto il comparto agroalimentare italiano. Introducendo le quantità consentite di polvere di grillo in prodotti comuni (come pane, pizza e snack) e dichiarandolo in modo chiaro in etichetta, possiamo aggiungere benefici nutrizionali, offrire nuove esperienze gustative e realizzare prodotti che contribuiscono sia al benessere del consumatore sia a quello del pianeta”.