Tra le rigide maglie degli allevamenti c’è spazio per l’efficienza, per la convenienza e per il profitto, ma non per la vita. Una regola, quest’ultima, comune tanto agli impianti di terra – basti dare un’occhiata, per fare un esempio recente, a quanto emerso da una recente investigazione in un allevamento veronese di pollo – a quelli di acqua: in Norvegia, primo produttore (parola già triste, non trovate? Usare “produrre” per riferirsi agli animali, come se fossero ingranaggi o pezzi di meccanica: ma d’altro canto dal governo rassicurano che parliamo di esseri non senzienti, diciamo bene?) al mondo di salmone atlantico, si sta manifestando una mortalità da record.
I numeri parlano chiaro – lo scorso anno sono morti complessivamente quasi 63 milioni di salmoni, un record assoluto, traducibili in un tasso di mortalità del 16,7% (anch’esso un record, a dirla tutta). E badate bene, non si tratta di picchi improvvisi e tragici in una situazione altrimenti calma, ma di dati in graduali aumento che restituiscono l’ennesimo ritratto di un sistema brutale e immorale.
Un’occhiata agli allevamenti di salmone, tra malattie e anomalie
Mortalità che, stando a quanto lasciato trapelare, sarebbe innescata dal proliferare di malattie del pancreas, delle branchie o del cuore, o ancora a lesioni subite durante l’eliminazione dei parassiti come i pidocchi di mare. Nulla di nuovo sotto il sole, potrebbero dire i nostri lettori più cinici (o più informati, ecco): basti pensare a come, appena una manciata di mesi fa, il video proveniente da un allevamento di un “salmone zombie”, con interi brandelli di carne strappati via, rese più che eloquenti (manco ce ne fosse ancora bisogno) le effettive condizioni di vita degli animali allevati.
D’altro canto è bene notare che gli allevamenti di salmone sono ormai da tempo sotto la lente d’ingrandimento dell’Autorità norvegese per la sicurezza alimentare, che ha affermato di avere “osservato anomalie nella metà degli allevamenti ittici ispezionati lo scorso anno” rilevando che in più occasioni “pesce ferito o deformato era stato esportato in violazione delle normative norvegesi”.
Il nucleo del problema, secondo la lettura delle stesse autorità sanitarie, sarebbe la necessità di spietata efficienza, di velocità, che anima gli allevamenti: i salmoni “sono sottoposti a stress per tutta la vita, dal momento in cui nascono in acqua dolce fino alla macellazione”, ha spiegato un esperto rimasto anonimo. Durante la prima fase in acqua dolce, la luce e la temperatura vengono manipolate in modo che crescano il più rapidamente possibile. In natura, questa fase dura da due a sei anni: nel contesto di un allevamento, invece, è “sufficiente” un lasso di tempo compreso tra i sei mesi e un anno.