Non è troppo inusuale leggere di ristoranti che decidono, per un motivo o per un altro, di disciplinare ingressi e comportamenti da tenere all’interno. Dal più tradizionale “Io non posso entrare” riferito agli amici a quattro zampe ai casi più “audaci”, come il caso di un locale americano che decise di fare pagare un extra per i bambini troppo rumorosi. Ecco, anche l’ultimo di questi casi più “bizzarri”, per così dire, arriva dagli States: a Florissant, nel Missouri, c’è un ristorante che non accetta clienti under 30. O quasi.
C’è una postilla, a dire il vero: il Bliss – questo il nome del ristorante in questione – non accetta alcun uomo di età inferiore ai 35 anni, e alcuna donna di età inferiore ai 30. Il tutto, l’avrete intuito, in un crudo – e discutibilissimo – esperimento di ingegneria sociale per orientare il proprio target di riferimento verso un gruppo demografico percepito come più ricco.
E se alla porta dovesse presentarsi un Forbes Under 30?
C’è chi potrebbe sostenere che la cattiva pubblicità non esista: la scelta del Bliss, per quanto particolare (e discriminante, piccolo appunto), ha naturalmente attirato una certa attenzione – prima da parte dei media locali, che hanno raccontato la storia con toni nettamente amichevoli e divertiti, e poi da parte del popolo internettiano che, come potrete intuire, è stato meno diplomatico.
A rendere particolarmente controversa (e virale) la decisione di Marvin Pate – fondatore e proprietario del ristorante in questione – è di fatto stata la pubblicazione di un post sulla vetrina social del locale, che legge un po’ come manifesto: “Per garantire un’atmosfera adulta e sexy, richiediamo che tutti gli ospiti abbiano almeno 30 anni per le donne e almeno 35 per gli uomini”. Adulta e sexy? Ma veramente?
Insomma, la retorica dei giovani scapestrati che con la sola presenza finiscono per compromettere irrimediabilmente la quiete dei sofisticati ospiti del Bliss è già stantia di suo, senza aggiungere parole che sembrano uscite da un trafiletto di un numero Playboy uscito negli anni Ottanta.
Poi per carità, il tentativo di orientarsi verso un determinato target è legittimo, condivisibile e assolutamente comune – nel mondo della ristorazione così come in tutti i modi di fare impresa, a dire il vero. Se l’obiettivo è evidentemente però quello di rivolgersi a un gruppo demografico per il suo (presunto) portafoglio gonfio, dobbiamo dire che imporre dei divieti così stringenti pare una scelta un po’ miope: che succede se alla porta si presenta un Forber Under 30? O un giovane attore hollywoodiano? Insomma, non sarebbe stato più indicato lasciare che fossero i prezzi del menu, ad esempio, a comunicare il target di riferimento?