Anacronistico. Teatrale. Violento. Crudele con gli animali. Sprecone. Sono tutti addebiti rivolti al Carnevale di Ivrea, uno dei più popolari del mondo. Di sicuro il più discusso.
Chiariamo subito: se non sei di Ivrea è difficile non essere solidali con le critiche. Agli eporediesi invece guai a toccaglierlo il Carnevale. Lo amano sopra tutto, aspettano quel clima di follia da un anno all’altro come se in mezzo non ci fosse niente.
In particolare aspettano la battaglia delle arance.
Battaglia: continua, estenuante, inarrestabile. Combattimenti per tre giorni di fila, da domenica a martedì.
Arance: 600 quintali prodotte da aziende agricole calabresi e siciliane appositamente per la manifestazione. E allora le polemiche sullo spreco? Strumentali perché si tratta di agrumi destinati al macero, si difendono a Ivrea. E anzi, quelle aziende occupano decine di famiglie proprio grazie alla battaglia delle arance.
I turisti sono moltissimi: dall’Australia, dalla Russia, dalla Cina e dal Giappone. Alcuni non capiscono.
Ieri Munchies, testata verticale dedicata dalla rivista Vice al cibo, scriveva che per i non iniziati, più che una tradizione secolare per festeggiare la liberazione dal feroce tiranno, il Carnevale d’Ivrea sembra uno sketch rifiutato dei Monty Python.
Rifiutato perché non fa ridere: chi riderebbe di fronte ai 70 feriti della prima giornata, sebbene le cure mediche siano in flessione rispetto all’anno scorso, o ai 28 ubriachi o al dodicenne ricoverato in coma etilico.
Anche l’inedita poltiglia composta da escrementi di cavallo e poltiglia d’arancia che resta per strada anche giorni dopo la battaglia insieme all’odore pungente, non aiuta.
Munchies non riesce a vedere la battaglia delle arance come una terapia anti stress che permette di sfogare rabbia e delusioni festeggiando con gli amici.
“Adesso sappiamo che in Italia esiste una festa in cui i partecipanti si tirano l’uno contro l’altro arance intrise di sangue. E a giudicare dagli infortuni di quest’anno, sappiamo anche che chiunque voglia partecipare, ha buone probabilità di essere ferito da un arancio”.
Eppure in 7 mila hanno speso 8 euro per accedere alla battaglia, con un incasso che quest’anno sfiora i 57.000 euro, in flessione di oltre 20mila rispetto al 2015, “quando già c’era stato un calo superiore al 50 percento in confronto all’anno prima” sostiene Repubblica.
Le battaglie alimentari sono una tradizione ancestrale spesso difficile da controllare.
Ce ne sono tante, gli esempi più noti sono la Gemüseschlacht tedesca (guerra dei vegetali), oppure la celeberrima Tomatina spagnola (guerra dei pomodori). In preda all’isteria collettiva il popolo invece di attovagliarsi se le dà di santa ragione, avrebbe notato il perfido tiranno medievale cacciato da Ivrea.
O almeno così vuole la tradizione: gli eporediesi dell’epoca non vedevano l’ora di liberarsi del dispotico barone, ci riescono grazie all’umile figlia di un mugnaio, vera regina del Carnevale, che si rifiuta di accordare al tiranno lo “ius primae noctis”.
I carri da getto che partecipano alla battaglia delle arance sono 54. In ogni carro 10/12 aranceri protetti nel volto e sul busto impersonificano gli sgherri del tiranno. Invece il popolo in rivolta, rappresentato dagli aranceri a terra, è quasi sempre senza protezioni.
Volti, mani e braccia sono le parti più dolorose dove colpire.
Domanda non provocatoria: forse sarebbe meglio limitarsi al videogioco?
[Crediti: La Stampa. Link: Munchies, Repubblica, The Local. Immagini: Giuseppe Cacace per Huffington Post]