A quanto pare il New York Times ha accusato il Carnevale di Ivrea di sprecare arance. Tutto è nato dopo che alcuni giornalisti della testata hanno partecipato il mese scorso al tradizionale Carnevale eporediese, uno dei più famosi e particolari d’Italia.
Carnevale di Ivrea: la battaglia delle arance non convince il New York Times
I giornalisti che hanno scritto l’articolo hanno descritto a modo loro la battaglia delle arance. I loro occhi hanno visto non tanto una tradizione storica che si tramanda da anni e anni, ma solo persone che si lanciavano addosso 900 tonnellate di arance, un frutto per volta. Il tutto sotto lo sguardo attento di altre decine di migliaia di persone che assistevano all’evento.
I giornalisti hanno spiegato ai loro lettori che i partecipanti lanciavano le arance molto forte e ferocemente, urlando parolacce agli avversari o in stile Braveheart, sorridendo, abbracciandosi e scherzando mentre lanciavano la frutta. Queste le loro parole: “Esibivano con il loro essere totale un senso di abbandono e appartenenza apparentemente squilibrato, ma euforico – una livertà che era facile da invidiare, ma difficile da capire”.
Il focus, poi, si è spostato sulla questione dello spreco delle arance. C’è chi, effettivamente, ha fatto notare che quelle arance non erano edibili e quindi non sarebbero comunque state consumate. C’è stato invece chi ha gridato allo spreco, tirando in ballo la fame nel mondo e arrivando a sostenere che proprio quelle 900 tonnellate di arance avrebbero potuto sfamare le persone più povere.
Ora, al netto dell’ovvia considerazione che non sono quelle tot di tonnellate di arance all’anno che possono risolvere la fame nel mondo, forse i giornalisti del New York Times al posto di cercare di capire invano il concetto di “antiche tradizioni culturali”, avrebbero potuto informarsi un po’ meglio sulle origini e il destino di quelle arance.
Per inciso: anche qui da noi, puntualmente, ogni anno c’è chi protesta contro l’uso delle arance. Quello che i giornalisti e i detrattori del Carnevale eporediese forse non sanno è che, da venti anni a questa parte, è un’azienda agricola di Acri, in provincia di Cosenza, a fornire la maggior parte delle arance per la battaglia.
Damiano Turano, il proprietario dell’azienda agricola, parla di un affare da 200mila euro l’anno. Altre arance arrivano, poi, dall’azienda Stroppiana di Chieri che le acquista dalla Good Frtta di Corigliano Caabro, sempre in provincia di Cosenza e dalla Frutta Doc, un’azienda di Palermo. Abbiamo dunque a che fare con una filiera ben precisa e certificata.
Per quanto riguarda chi grida agli sprechi, è bene sapere che le arance destinate alla battaglia sono quelle di seconda o terza scelta, gli scarti insomma della produzione che non sarebbero comunque mai finiti sulle tavole di nessuno non essendo destinate al consumo alimentare.
Le suddette arance, infatti, se non fossero finite a bersagliare i partecipanti del Carnevale, sarebbero state comunque destinate al macero, con costo di smaltimento a carico dei produttori o, al massimo, potevano essere vendute a basso costo per produrre bevande a base di succo d’arancia (in Calabria, per esempio, ad acquistare questa categoria non edibile di arance è la Coca Cola Company che le usa per produrre la Fanta).
Considerando che il Carnevale di Ivrea paga queste arance più del doppio di quanto non faccia la Coca Cola, diciamo che non è un dato da trascurare. E se ancora i fautori della teoria dello “spreco delle arance” non sono convinti, forse dovrebbero anche sapere che ciò che rimane delle arance dopo la battaglia, viene tutto raccolto e trasformato in compost che verrà poi usato come fertilizzante naturale insieme allo sterco dei cavalli.