L’Italia è il primo Paese al mondo ad aver vietato la produzione di carne coltivata, nota anche, per via dei suoi tanti detrattori, come carne sintetica. Nulla di nuovo: la notizia del divieto è ormai vecchia di qualche giorno, era abbastanza grossa da avere squarciato il settore della cronaca gastronomica approdando anche sui media generalisti e soprattutto ben si inserisce nel mosaico della mitologica sovranità alimentare – che sta rapidamente assumendo i connotati del masochismo – millantata dal cognato della presidente del Consiglio, nonché ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida.
La decisione ha tuttavia trovato una certa opposizione, più recentemente rafforzata dalle riprovazioni di ong e organizzazioni ambientaliste (e non solo, in realtà) riassumibili in semplice mantra: l’Italia non può permettersi di andare controcorrente su un qualcosa come la carne coltivata.
Le proteste degli ambientalisti contro il divieto alla carne coltivata
“Il disegno di legge introdotto dal governo italiano per vietare la carne coltivata è una misura draconiana che ignora l’enorme potenziale economico e ambientale che detiene questo prodotto” ha commentato, ad esempio, Mathilde Alexandre, coordinatrice del progetto ProVeg Cell-Ag; nel sottolineare che si tratta di una tecnologia importante in grado di “influenzare positivamente il sistema alimentare nella riduzione delle emissioni di carbonio e dell’inquinamento e sostiene il benessere degli animali e la biodiversità. Inoltre, è una vera leva per la crescita economica”.
Un’opportunità bipartita, in altre parole – da una parte la possibilità di, con il dovuto impegno economico declinato in ricerca e sviluppo, sviluppare una potenziale soluzione a un sistema alimentare che si trova sempre più ad arrancare; dall’altra una filiera di potenziale eccellenza stroncata sul nascere. Tutto questo tralasciando il fatto – in realtà gravissimo – di aver frenato il progresso scientifico e di aver limitato “a tavolino” le scelte dei consumatori.
Il divieto, spiega Alice Ravenscroft, responsabile della politica del Good food institute Europe, “potrebbe impedire agli scienziati italiani di intraprendere un lavoro cruciale, e bandire le start-up italiane di carne coltivata”. Il rischio concreto, in altre parole, è che l’Italia rimanga indietro “il resto dell’Europa e del mondo progredisce verso un sistema alimentare più sostenibile e sicuro”.
E la questione sicurezza, impugnata come tesi principale per giustificare il divieto? “L’UE ha già un solido processo di regolamentazione in atto per confermare la sicurezza di nuovi alimenti come la carne coltivata” assicura Ravenscroft “e le autorità di regolamentazione negli Stati Uniti e Singapore hanno già trovato per essere sicuro. Il governo dovrebbe lasciare che gli italiani decidano quello che vogliono mangiare, invece di soffocare la libertà dei consumatori”.