C’è tanta nebbia attorno all’italianissimo divieto alla carne coltivata. Da un certo punto di vista è una questione di radici, nel senso che la crociata del governo contro questa particolare impostazione si è basata su una comunicazione maliziosamente mistificatrice (“carne sintetica” non vi dice nulla?) e chi semina vento spesso e volentieri si trova a raccogliere tempesta; ma c’è anche un più profondo problema di scrivanie, di tempistiche, di ingranaggi burocratici e comunitari. Nelle ultime ore una notizia ha rimbalzato su un po’ tutte le testate di settore (e non solo): l’Europa ha bloccato il ddl Lollobrigida. Peccato che non sia proprio così. O forse sì?
C’è confusione ed è una cosa che, al netto delle voci di infrazione UE prima del sì di Mattarella e della buffa doppia retromarcia dello stesso Lollobrigida, è più che legittima. Cerchiamo dunque di mettere un po’ di ordine, partendo dal presupposto che a innescare questo ennesimo pasticcio che oscilla tra vittoria e figuraccia è il fatto che, con ogni probabilità, abbiamo sbagliato i tempi.
Ma quindi sta legge sulla carne coltivata è valida o no?
Il Ministro Lollobrigida dice che è “serenamente in vigore”, i suoi detrattori parlano di figuraccia. Ci piacerebbe semplificare e archiviare il tutto sostenendo che la verità se ne sta comodamente in mezzo, ma non è del tutto così. Andiamo in ordine: nelle ultime ore la Commissione europea ha chiuso, in anticipo rispetto ai tempi previsti, la procedura TRIS (prevista, tanto per intenderci, quando vengono prese in esame delle norme che ostacolano la libera circolazione delle merci nel contesto europeo; cosa che il pollice in giù alla carne coltivata di fatto prevede) citando una violazione di una direttiva europea.
Paroloni, ma non facciamoci prendere dal panico. La questione è più semplice di quanto possa sembrare. Diamo un’occhiata alle dichiarazioni della Commissione: “Il testo è stato adottato dallo Stato membro prima della fine del periodo di sospensione” previsto dalle direttive europee, scrivono da Bruxelles. Da qui l’invito all’Italia a informare la Commissione “del seguito dato, anche alla luce della giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia” dell’Unione europea.
A questo punto è utile (e obbligatorio) disturbare la giurisprudenza. Quello che ci interessa è l’articolo 6 della direttiva Ue 2015/1535, che di fatto impone agli Stati membri (Italia ovviamente compresa) di informare la Commissione di qualsiasi progetto di regolamentazione tecnica relative ai prodotti “prima che queste siano adottate nelle legislazioni nazionali”.
Dalla data di notifica del progetto (come il no alla carne coltivata, tanto per intenderci) è necessario un periodo di tre mesi in cui la Commissione e gli altri Stati membri sono chiamati a valutare il testo proposto e a rispondere in maniera adeguata. Periodo di tre mesi in cui, è bene notarlo, la norma in questione NON viene ancora adottata.
Nel caso in cui l’esame di cui sopra dovesse rivelare che il progetto proposta possa andare a ostacolare alcuni principi comunitari – come la libera circolazione delle merci, per l’appunto -, ecco che la Commissione può presentare un parere circostanziato a cui lo Stato che ha formulato la norma (l’Italia, in questo caso) è tenuto a rispondere. Qui il punto chiave: le leggi che vengono valutate come in violazione di tale procedura possono essere dichiarate inapplicabili dai tribunali nazionali.
Al netto di quanto spiegato fino a ora la nostra lettura è che, a oggi, l’Unione Europea non abbia bocciato un bel nulla; per quanto la procedura sia fondamentalmente stata affrettata cozzando contro le procedure normative comunitarie, e più semplicemente chieda di essere dovutamente informata sui futuri sviluppi. Un risultato che, come accennato in apertura di articolo, è stato interpretato da Lollobrigida come una vittoria – “La legge è serenamente in vigore”, ha dichiarato – e dall’opposizione come una figuraccia. In questo limbo legislativo, una cosa pare più chiara che mai: la pietra angolare attorno a cui si sta declinando il dibattito sulla carne coltivata premia chi parla più forte e chi si riferisce alla pancia di chi ascolta. Ed è un peccato.