I prezzi della carne bovina sono aumentati in tutto il Vecchio Continente: il problema, secondo il più recente rapporto redatto da Ismea, giace nella scarsa disponibilità dei capi – anche se certamente le tendenze inflazionistiche, sempre più fuori controllo, hanno inciso sui consumi in diversi Stati membri. Nella fattispecie, la situazione della nostra Italia riflette semplicemente le conseguenze dei numerosi aumenti dei costi di produzione (o, in questo caso, di alimentazione) e una flessione del peso medio degli esemplari provenienti dai cicli di ingrasso – due elementi che, favoriti anche dalle dinamiche rialzisti di altri Paesi europei, hanno di fatto portato a un aumento generale dei prezzi al consumo.
Tornando ai dati contenuti nel rapporto in questione ecco che apprendiamo che, nel mese di giugno, i prezzi in allevamento per i vitelloni sono di fatto aumentati del 22% su base annua, mentre le vacche fanno addirittura registrare un +33%. Interessante, ma vagamente inquietante, notare poi che di fatto i volumi acquistati di carne bovina nei primi cinque mesi del 2022 si sono contratti del 5,6%, ma la spesa complessiva (in termini puramente economici) è pressoché rimasta la stessa (anzi, addirittura aumentata dello 0,1%) – chiaro sintomo dell’aumento dei prezzi. Si segnala, rimanendo nel contesto, un aumento notevole delle alternative a base vegetale e anche degli importi di capi da ristallo (+12%). In crescita anche gli arrivi di carne, con aumenti del 7% sui volumi ed esborsi che fanno registrare un +37%.
Complessivamente, si segnala che di fatto il clima di fiducia degli operatori di filiera è sensibilmente peggiorato: gli allevatori sono soprattutto preoccupati per gli aumenti dei prezzi delle materie prime che, quando sommati alla perdita generalizzata del potere d’acquisto, potrebbe risultare in una vera e propria valanga che rischia di assumere connotati particolarmente catastrofici per il settore.