Carne coltivata sì, carne coltivata no, carne coltivata forse – la posizione di Carlin Petrini sull’argomento, espressa ai colleghi de La Stampa, ha causato una gran confusione (nel fondatore di Slow Food in primis, a quanto pare). Tanto le testate di settore (noi compresi, beninteso, tant’è che ci siamo poi visti costretti a correggere il tiro) quanto quelle di stampo più generalista avevano evidentemente intravisto un’apertura totale, salvo poi doversi ricredere: Petrini intendeva piazzarsi un po’ nel mezzo, sostenitore della ricerca scientifica ma un po’ meno della carne coltivata, e soprattutto intendeva proporsi come alfiere del dialogo, della comprensione, del confronto a prescindere dalle idee.
Poiché il malinteso può essere involontario, ma il chiarirsi è invece d’uopo, Carlin Petrini ha ritenuto opportuno dissipare ogni nebbia sulla questione in una seconda intervista – o un “piccolo viaggio”, come lo descrive Andrea Malaguti, che a onore del vero la carne coltivata, pur essendo pietra angolare del discorso, non è l’unico argomento toccato – rilasciata ancora a La Stampa. Diamoci un’occhiata.
La posizione di Carlin Petrini sulla carne coltivata, in nero su bianco
La prima puntualizzazione che salta all’occhio riguarda la forma, prima ancora del contenuto. Molti degli articoli usciti negli scorsi giorni – i nostri lettori più attenti lo avranno senz’altro notato – usavano l’aggettivo “sintetica”, figlio di una maliziosa manovra atta a screditare il prodotto in questione conferendogli un’accezione nettamente negativa: “Io la chiamerei carne coltivata”, mette subito in chiaro Carlin Petrini.
Poi la dualità dell’uomo (comprensibilmente, dato il contesto) cauto: “Tanto per cominciare dichiaro il mio assoluto rispetto per la ricerca scientifico, so che la carne coltivata può avere un eventuale uso medico” dice Petrini. Il pollice in su per l’approdo a tavola, però, è tutta un’altra questione: “Per quello oppongo il mio No assoluto”.
Un “No” che è educatamente seguito dalle dovute spiegazioni: Carlin Petrini parla di “forma di precauzione verso la salute di ognuno di noi” e fa riferimento al “consumo di energia” necessario alla produzione, definendolo “spropositato” (che faccia riferimento a uno studio della scorsa primavera, che suggeriva – un poco grossolanamente – un impatto ambientale peggiore rispetto ai colleghi “tradizionali”?); ma le sue perplessità sono anche e soprattutto legate ” al fatto che c’è poca informazione. Parliamo di prodotti iper-processati di cui non si sa quasi nulla. E che peraltro sono in mano a poche multinazionali”.
Una finestrella che inevitabilmente porta a parlare di spreco e del goffo paradosso su cui si regge l’alimentazione: “Cibo di scarsa qualità consumato dalla gente povera ma realizzato da produttori ricchi che ottengono molti contributi” spiega Carlin Petrini “e cibo di alta qualità per gente ricca realizzato da produttori che guadagnano poco e che non hanno nessun sussidio”. L’ombra degli allevamenti intensivi è naturalmente profilata sullo sfondo – “ricevono contributi pubblici e mantengono miliardi di animali in condizioni inaccettabili, senza parlare della produzione fuori controllo di Co2” dice a tal proposito Petrini -, ed ecco che tra queste righe si presenta, limpida, la pietra angolare della posizione del fondatore di Slow Food.
Una logica – del tutto legittima – potrebbe suggerire che opporsi all’impianto spietatamente efficiente degli allevamenti intensivi e favorire i piccoli, come fa Petrini e lo stesso Slow Food, significherebbe innescare nuovi aumenti dei prezzi. Petrini non è d’accordo: “Io credo che il cibo vada pagato il giusto e credo anche che il mondo agricolo non possa andare avanti con i contributi a pioggia di cui godono sempre i soliti”. In questo malinteso, però, potrebbe prendere forma quello che evidentemente è un suo grande timore: una rottura tra il mondo agricolo e quello ambientalista (che a dirla tutta comincia già a palesarsi). Esiste un rimedio?
Sì, ed è il cuore della sua tesi – per quanto concerne la carne coltivata ma non solo, per l’appunto. La rottura si evita “con il dialogo e l’ascolto reciproco”, un modello comportamentale che Petrini cita anche più avanti nell’intervista, quando il discorso si sposta su argomenti di matrice più politica. Facciamo un fuoco rapido: il ministro Lollobrigida “ha sposato questa terminologia della sovranità alimentare, ma non so se ne ha recepito il vero significato”, di Giorgia Meloni apprezza “la sua comprensione” dimostrata per l’Università di Pollenzo e Terra Madre, Elly Schlein ha bisogno di tempo per lavorare in quanto “ha davanti una impresa non da poco”.
E di Papa Francesco – “un uomo con il coraggio della sincerità” – e Re Carlo – “precursore” in campo ambientale prima che fosse moda – che dire? Qui torna, dicevamo, il punto di vista prudente ma educato di Carlin Petrini, la chiave per interpretare la sua posizione sulla carne coltivata: “Il dialogo e la comprensione devono esserci sempre, indipendentemente dalle idee”.