Cargill, colosso a stelle e strisce noto come il più grande commerciante di cereali a livello globale, è finito a processo con l’accusa di un monitoraggio inadeguato, e di avere chiuso un occhio – o forse entrambi – di fronte alla deforestazione e alle violazioni dei diritti umani della sua catena di approvvigionamento della soia in Brasile. Accuse pesanti, naturalmente, che stridono grossolanamente con lo slogan del gigante statunitense – “Cargill si impegna a far prosperare il mondo”, per i curiosi – e soprattutto impugnate da ClientEarth, organizzazione internazionale di diritto ambientale che ha presentato denuncia ai primi di maggio.
Cargill nei tribunali per deforestazione e diritti umani: l’impatto sull’Europa
Che c’entra l’Europa, direte voi? Che d’altronde il processo si svolgerà negli Stati Uniti, e va bene tutte le chiacchiere sul villaggio globale e via dicendo, ma alla fine che ci riguarda? Beh, i nostri lettori più attenti ricorderanno che di recente l’Unione europea ha approvato una legge che di fatto vieta l’importazione di prodotti legati alla deforestazione, imponendo alle aziende interessate a offrire i propri prodotti sul mercato europeo – come la Cargill, per l’appunto – l’obbligo di dimostrarsi “smarcato” da accuse come quelle appena riportate.
Ma torniamo a noi – Cargill, deforestazione, diritti umani. Il colosso dei cereali è fondamentalmente accusato di non avere monitorato la sua filiera della soia: “La scadente due diligence di Cargill aumenta il rischio che la carne venduta nei supermercati di tutto il mondo sia allevata con la cosiddetta soia ‘sporca’”, si legge nell’accusa. Un comportamento del genere – oltre a squalificare la Cargill dell’esportazione in Europa, come appena accennato – andrebbe a violare il codice internazionale sulla condotta aziendale responsabile.
Lo smacco, per l’azienda, è per di più rappresentato dalla smentita di non avere affatto un “sofisticato sistema di monitoraggio, verifica e segnalazione” volto a “porre fine alla deforestazione legata alla produzione di soia nelle sue catene di approvvigionamento”; minando profondamente la sua credibilità a livello internazionale. La multinazionale, che può tra l’altro vantare il titolo di più grande azienda privata degli Stati Uniti, è sulla carta già impegnata a essere “libera della deforestazione” in Amazzonia e Cerrado entro l’ormai prossimo 2025, e punta addirittura a estirpare il fenomeno dalle sue catene di approvvigionamento entro il 2030.
Ma badate bene – questa non è affatto la prima macchia sul curriculum del colosso a stelle e strisce. “Ci sono una serie di rapporti che collegano Cargill alla deforestazione e alle relative violazioni dei diritti umani in Brasile” spiega non a caso ClientEarth. Scavando anche solo in superficie è possibile trovare un’inchiesta del 2020 di Greenpeace, che definiva Cargill “l’azienda che nutre il mondo aiutando a distruggere il Pianeta”; e nello stesso anno un rapporto del The Guardian che raccontava di come Cargill fornisse follo alimentato con soia collegata a migliaia di incendi boschivi a numerosi supermercati e catene di fast food.
La risposta alle accuse, naturalmente, è impostata su un tono piatto e aziendale: “Non ci riforniamo di soia da agricoltori che bonificano terreni in aree protette e disponiamo di controlli per impedire che prodotti non conformi entrino nelle nostre catene di approvvigionamento” hanno spiegato i dirigenti. “Se rileviamo violazioni delle nostre politiche, agiamo immediatamente in conformità con il nostro processo di reclamo”.