Un caso che ha l’eco obbligatorio del Davide contro Golia: Campari ha perso una disputa legale durata diciotto mesi contro Dark Sky Brewery, un microbirrificio incastonato nelle Pennine del Nord. La cosiddetta pietra dello scandalo, come spesso capita in casi di questo genere, riguarda l’utilizzo (improprio, secondo le ragioni di casa Campari) di un nome.
Ve la facciamo breve – Dark Sky Brewery nasce nel 2022 e deve il suo nome ai cieli bui e incontaminati della regione in cui è situato. Dopo avere presentato la richiesta formale per registrare il marchio nella sua ragione sociale, però, Steve White – questo il nome del fondatore – riceve una lettera legale da Campari, che lo accusa di aver violato il marchio della sua Skyy Vodka.
La decisione dei giudici
Davide contro Golia, dunque. Da una parte un microbirrificio neonato con ambizioni prettamente locali – “Sto solo cercando di produrre della buona birra per la gente del posto”, aveva spiegato White alla stampa locale in seguito allo scoppio del caso -, dall’altra un colosso fondato nel 1860, forte di una distribuzione globale che comprende oltre 190 nazioni in tutto il mondo e che solo di recente ha sborsato più di un miliardo di euro per acquisire Courvoisier, storico produttore francese di cognac.
Il signor White, in ogni caso, ha deciso di lottare. La sua tesi era che la Skyy Vodka sia uno spirito distillato negli Stati Uniti, mentre il suo marchio apparteneva di fatto a una birra prodotta in un villaggio nel nord-est dell’Inghilterra. Diciotto mesi dopo, i funzionari dell’Ufficio per la proprietà intellettuale (IPO) hanno respinto l’obiezione di Campari e concesso a White la registrazione di Dark Sky Brewery come marchio.
Nella sua sentenza, l’IPO ha affermato di “non aver considerato che l’elemento comune, essendo la parola Sky, possa essere così sorprendentemente distintivo che il consumatore medio si aspetterebbe che solo un’impresa lo utilizzi”. Campari ha anche tentato di suggerire una vaga somiglianza tra i loghi, ma senza successo.
La sentenza continua illustrando le chiare differenze tra i due prodotti – una birra e una vodka, per l’appunto – e concludendo che verranno certamente “percepiti come relativi a diverse sottocategorie di bevande alcoliche”.
White, come potrete immaginare, si è detto soddisfatto ma anche e soprattutto sollevato: secondo la sua personale lettura è stato il buon senso a prevalere. “Non potevo crederci” ha raccontato, facendo riferimento a quando ha ricevuto la notifica da parte di Campari. “Sostenevano che i clienti si sarebbero confusi tra un marchio di vodka globale e una pinta di bitter che è in vendita solo in una manciata di posti nel nord-est dell’Inghilterra”.
“Era una questione di principio, però” ha continuato “e io sono una persona molto testarda, quindi ho deciso che dovevo continuare a lottare”. La sorte premia gli audaci: un po’ come quando una piccola azienda vinicola sarda ha sfidato la Red Bull e ha vinto.