I nostri lettori più attenti ricorderanno che in passato abbiamo ampiamente parlato del problema rappresentato dalle capsule di caffè, che hanno la cattiva reputazione di essere dannose per l’ambiente. Il problema è una incapacità di fondo nel separare le diverse componenti – alluminio, in realtà perfettamente riciclabile, e i fondi -, risultando in una sorta di ibrido che non viene riconosciuto dai centri di riciclaggio e che viene quindi mandato a “marcire” nelle discariche per qualche secolo. Diverse compagnie hanno provato a risolvere il problema – pensiamo alle coffee ball svizzere o alle capsule in carta della Nestlé -, ma un recente studio dell’Università del Quebec ha cambiato del tutto le carte in tavola.
Un ribaltamento che manco nelle migliori puntate di 4 Ristoranti
Partiamo dalle basi: le capsule, sin dalla loro invenzione, hanno rappresentato una soluzione efficiente e soprattutto comoda per gustarsi un caffè tra le mura casalinghe. Dati alla mano, il valore di mercato delle cialde è di fatto cresciuto del 24% dal 2021 al 2022, con un valore complessivo di 12,33 miliardi di dollari. Ciononostante, come brevemente accennato qualche riga più in su, sono stati ampiamente criticate dalle frange più attente all’ambiente dei bevitori di caffè.
Gli studiosi canadesi hanno misurato le emissioni totali di gas serra (GHG) prodotte da ciascun metodo di preparazione per un ottenere 280 millilitri di caffè: il processo di analisi ha naturalmente preso in considerazione l’intero processo, dalla produzione dei chicchi (la fase più impattante in assoluto) alla quantità effettiva di rifiuti generata dal consumo di una semplice tazzina. È bene notare che i ricercatori hanno anche preso in esame le emissioni extra dovute ai frangenti in cui si utilizza più caffè del necessario – un evento comune, considerando che la maggior parte delle persone non si prende la briga di misurare le quantità corrette prima di prepararlo finendo per consumarne il 20% in più del necessario.
I numeri parlano chiaro: il caffè filtrato preparato con il metodo tradizionale è quello che produce la maggiore quantità di anidride carbonica – un primato che, come forse avrete potuto intuire, è dovuto al fatto che la quantità di caffè macinato necessaria per preparare una singola tazzina è maggiore, così come l’energia necessaria a scaldare l’acqua.
Le capsule sono invece al terzo posto sulla lista: un colpo di virtù inaspettato e dovuto al fatto che la quantità di caffè all’interno di ogni cialda è misurato e controllato con grande precisione, impedendo un consumo eccessivo. Il metodo di preparazione più amico del pianeta, invece, è il caffè istantaneo.
In definitiva a “salvare” le capsule è stata la precisione che sta dietro alla loro produzione: come accennato la raccolta e la produzione stessa dei chicchi è nettamente la fase più inquinante, e il fatto che le cialde utilizzino una quantità di caffè tendenzialmente minore del metodo tradizionale ha permesso loro di totalizzare un punteggio migliore. Rimane, in ogni caso, il problema dei rifiuti: motivo per cui idee come le coffee ball o le capsule in carta biodegradabile potrebbero rappresentare soluzioni ancora più efficaci.